Rivisto l'elenco dei Paesi sicuri, ”recependo le indicazioni della recente sentenza della Corte di Giustizia Ue”. In particolare, sono stati rimossi i Paesi rispetto ai quali erano previste ”eccezioni di carattere territoriale” (Camerun, Colombia e Nigeria). Il nuovo elenco è ora contenuto in un provvedimento con forza e valore di legge per evitare possibili disapplicazioni fondate su interpretazioni della ”Direttiva Accoglienza”. L'elenco è ora composto da 19 Paesi sicuri, individuati secondo i criteri stabiliti dalla normativa europea e dai riscontri rinvenibili dalle fonti di informazione fornite dalle organizzazioni internazionali competenti. Si tratta di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. L'elenco dei paesi sicuri verrà aggiornato periodicamente, sempre mediante atto avente forza di legge.
La lista dei Paesi sicuri è stabilita con una norma primaria, vale a dire una regola che il giudice dovrà obbligatoriamente prendere in considerazione nelle sue valutazioni. L'Esecutivo gioca la carta del potenziamento della norma italiana nel suo braccio di ferro con i giudici che invece - nelle loro ordinanze sull'esclusione del trattenimento dei migranti nel centro italiano in Albania - finora hanno fatto prevalere le ragioni del diritto comunitario. Con il nuovo decreto, la lista aggiornata dei Paesi sicuri stilata dal ministero degli Esteri avrebbe quindi il valore di una legge, ovvero di un obbligo a cui attenersi e che rafforzerebbe la posizione del governo anche in sede di ricorso. Non solo. La norma rispetterebbe stavolta sia il principio ”oggettivo”, cioè l'ambito delle eccezioni relative alle aree geografiche del singolo Stato; sia quello ”soggettivo”, cioè quello riferito a determinate categorie di singoli individui. È proprio quest'ultimo punto ad essere stato uno degli elementi determinanti nelle decisioni dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma, i quali la scorsa settimana hanno ritenuto di non convalidare il trattenimento dei dodici migranti nel Cpr in Albania. Facendo prevalere il pronunciamento della Corte di giustizia europea dello scorso 4 ottobre, i magistrati hanno sottolineato che secondo quest'ultima sentenza ”la designazione di un Paese di origine come sicuro dipende (...) dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme, non si ricorre mai alla persecuzione (...), tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”. Confrontando questa sentenza della Corte europea al caso specifico dei migranti trattenuti nel centro italiano di permanenza per il rimpatrio in Albania, il giudice Luciana Sangiovanni sostiene nella sua ordinanza (riferita a un cittadino egiziano) che ”il Paese di origine del trattenuto, nelle conclusioni della scheda-Paese dell'istruttoria del ministero degli Esteri (...) è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione”. Ed è questo il motivo per cui, ”in ragione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro”. Decidendo di affidare la lista dei Paesi sicuri ad una norma primaria, e non più secondaria come è invece il decreto del ministro degli Esteri con cui finora è annualmente aggiornato l'elenco, il Governo cerca ora di blindare la sua posizione di fronte alle norme del diritto europeo che fino ad ora hanno prevalso pesando sulle decisioni dei giudici.
Giampiero Guadagni