Al via di fatto la campagna referendaria sul lavoro e sulla cittadinanza per gli extracomunitari. Sui cinque quesiti dichiarati ammissibili dalla Consulta si voterà in primavera. Quelli sul lavoro sono stati promossi dalla Cgil. Nel mirino c'è innanzitutto il Jobs act per il ripristino dell'articolo 18 e quindi del reintegro nei casi di licenziamento illegittimo per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 (da quando sono entrate in vigore le norme del governo Renzi, che hanno introdotto il contratto a tutele crescenti); ci sono i contratti a termine per limitarne l'utilizzo a causali specifiche e temporanee, il tetto all'indennità di licenziamento nelle piccole imprese e la responsabilità solidale delle aziende committenti negli appalti, in caso di infortunio e malattia professionale. L'altro quesito ammesso, proposto tra gli altri da +Europa, chiede di dimezzare da 10 a 5 anni la residenza in Italia degli extracomunitari per presentare la domanda di cittadinanza.
Intervistata da Avvenire, la segretaria generale aggiunta della Cisl Daniela Fumarola sottolinea: ”Sul Jobs act la Consulta è intervenuta più volte restringendo notevolmente il campo dell'applicabilità dei licenziamenti. Una riforma non priva di lacune applicative, ma necessaria in molte parti. Ha contrastato la pratica delle dimissioni in bianco, ha colpito le false partite Iva, ha esteso e reso universali gli ammortizzatori sociali, ha incentivato il contratto di lavoro a tempo indeterminato e introdotto un progetto nazionale sulle politiche attive. Pensare di potere tornare agli strumenti del passato in un contesto socio economico completamente cambiato è totalmente illusorio”. Il problema prevalente nel mercato del lavoro, aggiunge Fumarola, "è nella sua qualità, nella capacità dell’occupazione di generare valore aggiunto e quindi alti salari. La chiave di volta sta nel potenziamento delle competenze e nella capacità di allineare l’offerta alla domanda sui territori. Bisogna dar vita a una rete universale di protezione e promozione della persona che lavora o che cerca lavoro. Significa offrire ad ogni individuo, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro, sostegno al reddito, formazione continua, orientamento. La vera sfida sta lavorare insieme per un nuovo Statuto della persona nel mercato del lavoro”.
I quesiti sul lavoro a loro tempo erano stati firmati anche dalla segretaria del Pd Elly Schlein (oltre che dai leader del M5s Giuseppe Conte e di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli). E ora Schlein assicura: ”Non faremo mancare il nostro contributo, anche sulla cittadinanza”. Ma l’ala moderata-riformista del Pd - quella che era stata più vicina a Matteo Renzi - non ha intenzione di rinnegare il lavoro fatto dieci anni fa. Alessandro Alfieri lo ha subito spiegato: ”Un referendum sul Jobs act rischia di riaprire ferite del passato. Fin dall'inizio ho dichiarato che non l'avrei sostenuto. Abbiamo bisogno, oggi, di mettere in evidenza le tantissime battaglie che ci uniscono, non quelle che ci dividono”. Posizione che è in sostanza quella di tutta la minoranza, da Marianna Madia a Graziano Delrio e Lorenzo Guerini. Certo, precisa uno di parlamentari moderati, ”non ci metteremo a fare i comitati del no con Renzi, ma c'è una strumentalizzazione da parte di Landini che non ci fa bene. E certamente non faremo campagna per il sì, né voteremo per l'abrogazione”. La minoranza spera che la segretaria arrivi a non dare indicazione di voto, pur ovviamente facendo campagna attiva per il sì. Antonio Misiani, responsabile economia in segreteria, la mette così: ”Capisco che il referendum non è il migliore degli strumenti possibili, ma è importante che arrivi un segnale nella direzione di un rafforzamento delle tutele del lavoro”.
Dal fronte del centrodestra c’è soddisfazione, pur con toni diversi e distinguo di merito, sul no della Consulta all’ammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata. Posizione comune contro i quesiti sul lavoro. Resta invece alta la tensioni su altri capitoli. A partire dal ddl sicurezza. FdI, Lega, FI e Governo si sono riuniti a Palazzo Chigi per tracciare la rotta che porti ad accogliere i rilievi del Colle, limitando al minimo i tempi necessari alle modifiche e al via libera definitivo. Ma la necessità di una terza, inevitabile, lettura indispettisce la Lega che lancia il guanto di sfida al Senato: il ddl sicurezza va approvato così com'è in via prioritaria. Ma il nodo delle modifiche resta sul tavolo. Salvo colpi di scena, dovrebbe restare fuori la norma per le maggiori tutele delle forze dell'ordine: il cosiddetto ”scudo” che potrebbe finire eventualmente in un ddl a parte. Oggi, intanto, la nuova seduta comune del Parlamento er eleggere i quattro giudici costituzionali mancanti: anche se allo stato non si registrano accelerazioni decisive nell'intesa tra maggioranza e opposizione, i tessitori sono all'opera. Sia per cercare un punto di mediazione sul presidente della Rai in commissione Vigilanza, sia per arrivare, dopo 13 scrutini andati a vuoto, a nominare i nuovi componenti della Consulta. Le partite ufficialmente seguono binari differenti, ma entrambi i dossier sono all'ordine del giorno e i ragionamenti sui nomi possono accavallarsi.
Giampiero Guadagni