Intanto fa molto bene la Cisl ad aprire un dibattito che dopo una effervescenza degli anni '90 si era spento. Secondo me è particolarmente utile parlarne adesso proprio perché il Pnrr apre un nuovo ciclo di sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale e sociale e riapre la discussione sul rapporto tra impresa e lavoro. E andranno ridefinite sia le strategie delle imprese sia la partecipazione dei lavoratori. È davvero fondamentale riaprire questa discussione sia a livello macroeconomico, ridefinendo gli obiettivi della concertazione sociale; sia a livello microeconomico, attraverso il modello tedesco di cogestione o il modello scandinavo, con il ruolo dei fondi settoriali.
Pnrr a parte, a suo giudizio, direttore Bianchi, le riforme istituzionali hanno un valore economico intrinseco?
Dire sostanzialmente di sì. E ci sono riforme il cui valore economico è di tutta evidenza, come nel caso dell'autonomia differenziata. Nella recente audizione in commissione Affari costituzionali del Senato abbiamo quantificato gli effetti finanziari in termini di riduzione del bilancio dello Stato, e quindi della riduzione della potenziale capacità perequativa dello Stato per le aree più deboli. Questa riforma ha poi una valore anche in termini di efficienza delle politiche pubbliche.
Perché secondo lo Svimez l'autonomia differenziata mette a rischio l'interesse nazionale?
Perché il ddl Calderoli attua l'autonomia differenziata all'interno di un Paese che non ha ancora completata il suo percorso di attuazione del federalismo. Sostanzialmente dunque una contraddizione, perché si differenzia qualcosa che ancora non c'è. Ma soprattutto, in assenza di questo quadro complessivo, si tratta di una riforma che così come è proposta rischia di frammentare le politiche pubbliche e quindi di indebolire le capacità competitive del sistema Italia; e dall'altra parte di cristallizzare i divari territoriali già esistenti. In sostanza questa autonomia differenziata propone un modello di autonomie speciali, di regioni a statuto speciale, piuttosto che un reale federalismo. E questo comporta un danno non solo per il Sud ma per tutto il Paese.
Resta il fatto che vi è un articolo costituzionale, il 116, rimasto inattuato; e che molti territori hanno manifestato in modo chiaro la richiesta di autonomia. Come rispondere a queste esigenze? E quali contrappesi sarebbero necessari?
Rispondo che va pienamente attuato l’intero Titolo V, che prevede al suo interno gli elementi compensativi dell'autonomia: identificazione dei livelli essenziali di prestazione; e un fondo di perequazione per le capacità fiscali. Sono i due pilastri su cui si regge il sistema federale. In assenza di quello questo progetto è solo disgregazione. Se Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ottenessero le materie che hanno richiesto, un euro ogni tre di tasse servirebbe per finanziare i servizi dei territori più ricchi del Paese. Non si tratta di una battaglia tra Nord e Sud, con il Sud nemico dell'efficienza e del cambiamento.
Ma cosa potrebbe davvero colmare lo storico divario tra Nord e Sud?
Intanto il superamento della spesa storica, in tutte le regioni e non solo quelle “speciali”. Dall'altro un piano di superamento dei differenziali territoriali, tra i quali decisivi sono quelli infrastrutturali.
Il Ponte sullo Stretto potrebbe aiutare a colmare questi divari infrastrutturali?
Il Ponte sullo Stretto è un tratto della Salerno-Palermo, è dunque un lotto fondamentale di un'opera che deve essere completata nel suo complesso. Ma deve essere accompagnato da un serio e complessivo piano di infrastrutturazione per il Sud, a cominciare dall'Alta velocità. Io sono favorevole a quest'opera, meno favorevole a presentarla come la identificazione della questione meridionale, la panacea di tutti i mali.
Oltre che di autonomia differenziata, si discute in questa legislatura anche di altre riforme istituzionali per garantire e contemperare governabilità e rappresentanza. Secondo lei quale potrebbe essere il corretto punto di approdo?
Il primo passaggio non può che essere la riforma elettorale. In particolare nel Mezzogiorno c'è una crescita fortissima dell'astensionismo. Un fenomeno legato anche ad un sistema che non consente di scegliere i propri rappresentanti e che non offre certezze di stabilità. Serve allora un buon sistema di premialità. Non credo, anche da meridionalista, al presidenzialismo: il ruolo super partes del Presidente della Repubblica, in qualità di garante dell'unità nazionale in un Paese così diviso non solo da punto di vista politico ma anche territoriale, è un valore al quale non si può assolutamente rinunciare.
Giampiero Guadagni