Per almeno tre ragioni di fondo.
Innanzitutto Marini non è mai stato un comprimario o uno spettatore. Sia come sindacalista, sia come dirigente politico e sia come uomo delle istituzioni. Come il suo mentore Carlo Donat-Cattin è sempre stato un protagonista perché semplicemente non ha mai rinunciato alla sua identità politico e culturale. Nella Democrazia Cristiana come nel Partito Popolare Italiano, nella Margherita come nel Partito democratico, Marini è sempre stato riconosciuto ed individuato come un leader della ”sinistra sociale” di ispirazione cristiana. Ovvero, un autentico interprete del popolarismo di ispirazione cristiana. E questa resta una cifra essenziale e decisiva anche nella stagione politica contemporanea perché se rinunci alla tua identità, cioè alla specificità culturale che dovrebbe caratterizzare qualsiasi esponente, semplicemente ne esce sconfitta la politica che si trasforma irreversibilmente in una pratica opportunistica e trasformistica.
Derive che non hanno mai coinvolto uomini come Marini perché hanno sempre avuto il coraggio di dire pubblicamente cosa pensavano e, di conseguenza, come agivano. In secondo luogo Marini aveva uno spiccato carisma. E, come diceva sempre Donat-Cattin, “in politica il carisma o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto”. E questa è la ragione che spiega perché Marini ha esercitato una forte leadership prima nel sindacato e poi nella politica. E anche come Ministro e Presidente del Senato ha sempre saputo imprimere un forte carisma nel declinare la sua azione politica. E non è un caso che proprio Marini forse è stato l’unico grande sindacalista che è diventato anche un vero leader politico e di partito. Elemento, questo, che forse non ha avuto eguali in altri autorevoli sindacalisti che hanno intrapreso l’attività politica ricoprendo anche importanti e qualificati incarichi di partito e istituzionali.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, con Marini la bandiera del popolarismo di ispirazione cristiana e del cattolicesimo sociale ha continuato a sventolare. Pur avendo appoggiato il progetto di dar vita a formazioni politiche plurali e dove non c’era una sola cultura di riferimento. Insomma, anche nelle formazioni plurali - si tratti della Margherita o del Partito democratico poco cambia - Marini era il punto di riferimento politico ed organizzativo dell’area popolare e cattolico sociale. Che non si limitava a giocare un ruolo puramente ornamentale, marginale e periferico ma, al contrario, contribuiva a condizionare e a costruire il progetto politico del partito. Insomma, l’esatto contrario di quello che capita ormai da tempo nel principale partito della sinistra italiana a proposito del ruolo e della presenza dei cattolici popolari e dei cattolici sociali.
Per dirla con parole ancora più semplici, l’esperienza, la presenza e il ruolo di Marini sono sempre stati l’esatta alternativa dell’esperienza dei “cattolici indipendenti di sinistra” all’interno del Pci. Ecco perché l’esempio e la lezione di Franco Marini erano e restano di stretta attualità. Ovvero, se i cattolici - seppur nella loro diversità politica, culturale, sociale e forse anche etica - vogliono ritornare laicamente protagonisti nella cittadella politica italiana non possono non rileggere il magistero pubblico e democratico di Franco Marini.
Giorgio Merlo