Un nuovo modo di usare i fondi di coesione, perché siano più europei nelle regole di utilizzo e meno locali. Per il prossimo ciclo di politiche di coesione si studia la possibilità di legare l’uso dei soldi europei all’agenda delle riforme. Un modello basato al modello del semestre europeo, il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. La proposta arriva da uno studio realizzato per conto del ministero per gli affari economici e l’azione per il clima del governo tedesco e presentato al Comitato europeo delle regioni (Cor).
Per la coesione post-2027 non si parla di riforma, anche alla luce di un processo di allargamento dell’Ue che la impone, bensì di governance. Lo studio portato a Bruxelles punta l’accento su come gestire le risorse in termini di principio generale, contabile, e di merito. Si parte dal presupposto per cui le riforme potrebbero aiutare a migliorare il tasso di uso e assorbimento delle risorse, e superare quel problema strutturale che interessa qualcuno più di altri, con l’Italia nel gruppo di quanti fanno fatica a fare tesoro delle risorse messe a disposizione.
Dalla Germania rigorista arriva dunque il rigore nella coesione. Alla base del funzionamento dell’Ue e dei suoi programmi ci sono fondi pubblici, risorse nazionali messe dai singoli Stati, e quindi pure i contribuenti tedeschi. Per il nuovo ciclo di coesione che verrà, in attesa che la Commissione europea sveli cosa intende fare del prossimo bilancio pluriennale (Mff 2028-2034) si dettano le regole del gioco. Tra queste la re-introduzione di valutazioni anticipate in parallelo al programma in corso, vale a dire analisi di successo della politica prima che l’intervento sia dichiarato terminato. E’ utile ricordare che il fondo di coesione è uno dei fondi strutturali e di investimento dell'Unione europea. Nasce nel 1994 con l'emanazione del Regolamento CE 1164/94 promosso a seguito delle istanze di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, supportati da Francia, Commissione europea e Parlamento europeo che ne richiedevano l'istituzione.
Il Fondo intende assicurare la promozione dello sviluppo sostenibile e la riduzione delle disparità economiche e sociali, attraverso l'erogazione di finanziamenti destinati agli Stati membri con un reddito nazionale lordo (RNL) pro capite inferiore al 90% della media dell'Unione europea. Condizione necessaria per avere diritto al finanziamento è essere in linea con l'Articolo 104 C del Trattato di Maastricht ovvero non avere disavanzi pubblici eccessivi e, qualora si siano verificati, dotarsi di un programma per la riduzione del deficit: fino al 1999, solo Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo possedevano i requisiti per accedere al Fondo.
Nel momento in cui viene il reddito nazionale lordo del Paese beneficiario raggiunge la media europea, viene dichiarato inammissibile al Fondo come l'Irlanda, che dal 2004 ha raggiunto la soglia del 101.7%, o, parzialmente, la Spagna, soggetta a periodo transitorio in quanto la media del Rnl era superiore a quella dell'Europa a 25, ma inferiore a quella dell'Europa a 15, circostanza presente alla nascita del Fondo. Previste nel ciclo di programmazione 2014- 2020 ed eliminate in quello in corso, le verifiche ‘ex ante’ sono condizionalità che legano l’erogazione dei fondi alla dimostrazione dei vantaggi socioeconomici conseguiti a medio termine a fronte delle risorse mobilitate. Soldi in cambio di riforme vere e per una crescita vera, in estrema sintesi. Nella riforma di gestione dell’uso delle risorse, comunque, si vuole mantenere un ruolo attivo dei governi locali, attraverso processi di previsione regionale per la preparazione dei programmi strategici.
Nicola De Michelis, vice direttore generarale del direzione generale per le politiche regionali della Commissione europea, comprende il principio della proposta, che mira ad un’efficienza necessaria per la competitività: "C’è la percezione che un terzo del bilancio dell’Unione europea sia perso in tanti progetti frammentati, e che questo fa perdere il legame tra bilancio e agenda Ue". Bisohna ricordare che il programma della Commissione europea per il 2025 sarà all’insegna della semplificazione. Alleggerire il carico normativo, ridurre gli oneri amministrativi e la rendicontazione per le aziende: è questa la risposta di Ursula von der Leyen per ridare slancio alla competitività europea. Anche a costo di mettere in disparte alcuni dei principi faticosamente affermatisi con la transizione verde. Dal Parlamento europeo di Strasburgo, è stato il commissario per il Commercio Sefcovičad illustrare il piano di lavoro dei prossimi dodici mesi, annunciando una "semplificazione senza precedenti".
Rodolfo Ricci