Dorothy Day, serva di Dio, è una delle figure più controverse e affascinanti della Chiesa cattolica del Novecento. Il suo processo di beatificazione è in corso, ma risulta essere particolarmente complesso e, in certi casi, divisivo. È stata una giornalista, attivista, anarchica, pacifista, carcerata, ragazza-madre e, soprattutto, fondatrice, insieme al contadino e filosofo francese Peter Maurin, del Catholic Worker , un movimento che ha lasciato un’im pronta indelebile nella Chiesa e nella società americana.
Il Catholic Worker non è solo un giornale, ma una rete di case di ospitalità che, con iniziative pratiche e concrete, ha cercato di alleviare la sofferenza dei più poveri, come ad esempio con le file per la zuppa e i picchetti a favore dei diritti dei lavoratori. La figura di Dorothy Day, con il suo spirito rivoluzionario e il suo impegno per la giustizia sociale, affascina ancora oggi, ma provoca anche molte domande.
Giulia Galeotti, storica e giornalista, responsabile delle pagine culturali de L’Osservatore Romano , ha scritto un libro, Siamo Una Rivoluzione. Vita di Dorothy Day, che analizza la figura di questa donna straordinaria, cercando di raccontarla senza cadere nell’agiografia.
'Dorothy Day era una donna davvero complessa', spiega Giulia Galeotti, 'Affrontava temi altrettanto complessi. In alcuni mi sono ritrovata, in altri no. Ho cercato di non farne un santino, di non innamorarmene, nonostante abbia trascorso molto tempo 'con lei''. La scrittura di Galeotti non si limita a una celebrazione della sua figura, ma si interroga sulle sue contraddizioni, sulle sue scelte radicali e sulle difficoltà che ha dovuto affrontare.
La stesura del libro, infatti, è coincisa con un periodo difficile per la stessa autrice, segnato dalla pubblicazione dell'inchiesta sui deprecabili comportamenti di Jean Vanier, un altro grande protagonista della Chiesa. 'È stato un momento di dolore e delusione profondi, che mi ha fatto riflettere sulla necessità di mantenere un obiettivo distacco da ciò che si racconta', racconta Galeotti.
L’autrice ammette che Dorothy Day, per lungo tempo, le 'usciva da tutti i pizzi!'; la incontrava nel corso delle sue ricerche storiche soprattutto sulla questione razziale negli Stati Uniti. 'Era citata positivamente sia dal cattolicesimo conservatore che dalle femministe, ma qualcosa non mi quadrava. Mi sono incuriosita', aggiunge. Questa ambivalenza nei giudizi su Dorothy Day non è casuale: la sua vita è stata caratterizzata da scelte radicali e da una continua ricerca di giustizia sociale.
Fin dai suoi primi passi nel movimento per i diritti degli oppressi, Dorothy Day ha cercato di rispondere a una domanda cruciale: 'Cosa posso fare di concreto di fronte alla sofferenza?'. La sua vita, infatti, è stata segnata dalla convinzione che il compito di ogni persona sia alleviare la sofferenza altrui. Ma a un certo punto della sua vita, questa lotta si è intrecciata con una profonda esperienza di fede. 'Si converte in un momento di gioia infinita, la nascita della figlia Tamar, non nel dolore o nel bisogno, come accade spesso', racconta Giulia Galeotti. La fede di Dorothy Day, pur esigente e severa, nasce dalla realtà, dall'osservazione dei poveri e dei diseredati che entrano in chiesa per pregare. 'Per lei, la Chiesa cattolica negli Stati Uniti è la casa degli ultimi.'
Eppure, questa donna straordinaria non ha mai smesso di criticare la Chiesa. Il suo impegno verso gli ultimi, infatti, la portò a scrivere una lettera al cardinale Spellman, durante lo sciopero dei becchini, in cui gli attribuiva una grave ingiustizia sociale. 'Dorothy Day, così rispettosa dell'istituzione, non esita a mettersi dalla parte dei lavoratori contro la Chiesa', commenta Galeotti. 'Vede il Vangelo anche lì, nel conflitto, e la sua visione della fede è incentrata sull'aiuto concreto e sull'umanità, senza compromessi'.
La figura di Dorothy Day è intrisa di contraddizioni. Come fondatrice di un movimento che promuoveva l'amore cristiano per i poveri, ha scelto una vita di estrema povertà, rinunciando a molti dei comfort della sua vita precedente. 'Fonda il Catholic Worker a 36 anni, con alle spalle una vita borghese. Non avrà più una 'stanza tutta per sé' e indosserà solo i vestiti usati che una volta a settimana il movimento dona ai bisognosi. Un salto pazzesco!', scrive Galeotti. Eppure, Dorothy Day non si limitava a dare, ma viveva la sua missione con passione, a volte con durezza. 'Era una donna che si arrabbiava tantissimo, facendo lunghe passeggiate per smaltire l'ira', racconta ancora Galeotti. 'La sua forza di volontà, sebbene a volte sembri autoritaria, era necessaria per mantenere un movimento che era essenzialmente anarchico e privo di regole fisse'.
La sua posizione pacifista è stata un altro elemento distintivo della sua figura. Nonostante le circostanze storiche difficili, come la Seconda Guerra Mondiale e il nazismo, Dorothy Day ha sempre rifiutato il concetto di 'guerra giusta'. 'Il V comandamento per Dorothy Day non ha eccezioni, neanche di fronte al 'male assoluto'. Il pacifismo è una scelta che non conosce compromessi', afferma Giulia Galeotti. Questo principio radicale, tuttavia, le costò molti lettori e abbonamenti al Catholic Worker, ma fu una scelta che, per Dorothy Day, rispecchiava la radicalità del Vangelo.
Il processo di beatificazione di Dorothy Day è certamente complesso, proprio per la sua figura sfaccettata e le sue contraddizioni. Tuttavia, come sottolinea l’autrice, avremmo davvero bisogno di una santa come lei, così complessa.
'Dorothy Day non si è mai definita femminista, ma riconosceva la fatica delle donne nella società e nella Chiesa, pur non vedendo in sé stessa un modello', afferma. 'Lei vuole una rivoluzione vera, quella del Vangelo, che possa dare dignità a chi non ne ha. Una rivoluzione che nasce dall'unità, dal 'noi' e non dall'individualismo'.
La sua lotta per la giustizia sociale, la sua fede in un Vangelo che chiede concretezza e sacrificio, la sua lotta per la dignità degli ultimi, rendono Dorothy Day una figura di riferimento, anche per le donne e gli uomini di oggi. Una santa che ci insegna a conciliare la vita mistica con l’impegno quotidiano, come dimostra la sua insistenza, nonostante tutte le difficoltà, nel chiedere a Dio di poter continuare a scrivere, per vivere il Vang