Niente scudo penale, ormai è troppo tardi. La replica di ArcelorMittal ha gelato il premier Giuseppe Conte, proteso nello sforzo di evitare l’addio del gruppo al’ex Ilva. Un epilogo in fondo prevedibile.
I vertici del colosso franco - indiano non ritengono gestibile lo stabilimento di Taranto senza l’immunità penale, peraltro ristretta all’attuazione del piano ambientale. ma anche se quest’ultima fosse ripristinata in zona Cesarini, è il mercato a dettare le sue condizioni. E il mercato dell’acciaio, ai livelli attuali, non consente di portare avanti il piano industriale e l’accordo concluso con i sindacati un anno fa. Il che significa, hanno fatto presente gli uomini di Lakshmi Mittal al governo mercoledì sera, in un vertice seguito ad una giornata concitata, che un eventuale ripensamento potrebbe prendere forma solo al prezzo di una profonda revisione del piano industriale e di quello ambientale. Ma accettare un calo della produzione a 4 milioni di tonnellate - questa la cifra ipotizzata da ArcelorMittal - vorrebbe dire accettare altri cinquemila esuberi. Cosa che il governo, ha spiegato Conte, non intende fare.
Non a caso il presidente del Consiglio si è spinto, per disinnescare la mina che rischia di deflagrare tra i suoi piedi, terremotando la tenuta del governo oltre a quella dell’industria italiana, ad offrire ai Mittal - all’incontro era presente insieme al padre Lakshmi anche il figlio Aditya - il ripristino dello scudo. Questo ben sapendo che la compattezza del governo da lui stesso sbandierata al termine dell’incontro è puramente di facciata. All’interno dei 5 Stelle resta infatti viva l’avversione ad una misura considerata alla stregua di un privilegio, di cui sarebbe beneficiaria - per di più - una multinazionale dal profilo spiccatamente globale, non esattamente una garanzia di popolarità alle latitudini grilline.
Nei fatti il governo si sta già preparando alla battaglia legale. Ieri il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, in audizione alla Camera, ha negato che vi siano i presupposti per recedere dal contratto, imputando peraltro a Mittal, nella sua versione al corrente fin dal marzo scorso della scadenza dell’immunità, di aver fatto della questione un pretesto per coprire il suo fallimento.
Sta di fatto che la situazione appare fuori controllo. Difficilmente Mittal tornerà sui suoi passi scaduti i due giorni - un quasi ultimatum che ha più il sapore della richiesta di proroga - concessi da Conte. Conte che ieri sera ha incontrato i sindacati, furibondi per il rischio di una sociale e ambientale. Ma prima il premier è salito al Colle per riferire al presidente della Repubblica.
Fim Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti dell’ex Ilva. Chiedono a Mittal ”l’immediato ritiro della procedura e al governo di non concedere nessun alibi all’azienda per disimpegnarsi”. Le sigle dei metalmeccanici definiscono inoltre ”provocatorie e inaccettabili” le condizioni poste da Mittal.
Anche il segretario generale aggiunto della Cisl Luigi Sbarra definisce ”inaccettabile e cinico l’atteggiamento” del gruppo. Duro il giudizio anche sull’operato del governo, che ha compiuto ”un chiaro errore con il pasticcio che ha portato all’abrogazione dello scudo che ha determinato l’alibi per il disimpegno”. Per Sbarra, inoltre, la vicenda dell’ex Ilva ”è lo specchio evidente di come i temi dell’impresa e del lavoro in questo paese diventano terreno di scontro politico dentro il governo, tra maggioranza ed opposizione”.
Carlo D’Onofrio