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Petrolchimico

Eni, sindacati: resti italiana, sciopero il 19 febbraio

Una decisa presa di posizione quella di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil che hanno proclamato un nuovo sciopero generale di 8 ore in tutto il Gruppo Eni per il prossimo 19 febbraio con manifestazione nazionale a Roma, in piazza S.S. Apostoli (dalle ore 10,00), perchè "il divorzio dell'Eni dalla politica industriale del nostro Paese - affermano - è inaccettabile".

E' l'intera strategia del "cane a sei zampe" a non convincere affatto i sindacati: "Il disegno del Gruppo- affermano i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, Emilio Miceli, Angelo Colombini, Paolo Pirani- resta sostanzialmente quello prospettato nel 2015: consolidare ed estendere le proprie attivita' di core business fuori dall'Italia ridimensionando il perimetro delle attivita' domestiche, a partire dalla dismissione della chimica e di Gela, dalla progressiva riduzione della capacita' di raffinazione, alla cessione di Saipem e Gas&Power, veri e propri gioielli dell'industria italiana. In questo modo Eni presenta interamente il conto della caduta del prezzo del greggio solo al proprio Paese". Infine, "avvertiamo - insistono Miceli, Colombini e Pirani - una sottovalutazione politica, quando non superficialita', dell'impatto delle decisioni Eni sul Paese: per questo abbiamo chiesto un urgente incontro al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e al ministro per lo Sviluppo Economico Federica Guidi per poter esprimere fino in fondo le nostre ragioni e preoccupazioni sull'occupazione, l'innovazione, la ricerca, nei siti e nei territori in cui oggi esiste una presenza industriale consolidata di Eni in Italia, a cominciare proprio da quel ruolo fondamentale che nel prossimo futuro avra' la transizione verso la chimica verde".

"L'Italia rischia di perdere una importante filiera industriale e l'Eni la sua caratteristica di azienda di "sistema" dall'estrazione al consumo. La chimica dell'Eni non può essere venduta a chicchessia: rimanga italiana, per il bene del Paese. Intervenga il Fondo strategico della Cassa Depositi e Prestiti". "Il disegno del gruppo - spiegano i leader sindacali - resta sostanzialmente quello prospettato nel 2015: consolidare ed estendere le proprie attività di "core business" fuori dall'Italia ridimensionando il perimetro delle attività domestiche, a partire dalla dismissione della chimica e di Gela, dalla progressiva riduzione della capacità di raffinazione, alla cessione di Saipem e Gas&Power, veri e propri gioielli dell'industria italiana. In questo modo Eni presenta interamente il conto della caduta del prezzo del greggio solo al proprio Paese". "Avvertiamo - insistono - una sottovalutazione politica, quando non superficialità, dell'impatto delle decisioni Eni sul Paese". Il patrimonio industriale di Eni "non può essere delegato a soggetti diversi dalla gestione pubblica", soprattutto per gestire la transizione verso la chimica verde. "Tutte buone ragioni per continuare - concludono Miceli, Colombini, Pirani - con la mobilitazione".

 

( 15 febbraio 2016 )

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