Tutti a Bruxelles. Nella speranza l’Europa batta un colpo e faccia da arbitro nella guerra delle delocalizzazioni che rischia di minare i rapporti tra Ovest ed Est dell’Unione. Mercoledì ci sarà anche Sergio Chiamparino all’incontro con il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani sulla vicenda Embraco. La Regione Piemonte segue con apprensione gli sviluppi di una vertenza che rischia di fare da detonatore ad un malessere generalizzato. Normale quando rischiano di saltare 500 posti di lavoro in una piccola realtà di provincia come Riva di Chieri. Si spiega anche così la decisione del governatore di assicurare un contributo alle spese di viaggio dei lavoratori, circa 5 mila euro che serviranno a pagare voli aerei e spese di alloggio per gli operai che partiranno domani insieme a Chiamparino.
Il ruolo delle istituzioni comunitarie del resto è fondamentale in una partita che si gioca su delicate questioni che attengono al funzionamento del mercato unico. Il governo, con il ministro Calenda, ma negli ultimi giorni anche attraverso le parole del premier Paolo Gentiloni, tiene sotto pressione la commissione e la guardiana alla Concorrenza Margrethe Vestager, la quale ha promesso di vigilare sull’utilizzo da parte del governo slovacco dei fondi di coesione, che Roma sospetta vengano offerti in contropartita alle aziende che decidono di stabilirsi entro i confini del paese. Una violazione, se così fosse, dei trattati e delle norme sugli aiuti di stato, un escamotage per fare dumping contro altri stati membri che rischia di avere serie ripercussioni nei rapporti intraeuropei.
Da parte sua Embraco conferma di giorno in giorno la linea dell’intransigenza. Ieri dal Brasile la società controllata dall’americana Whirlpool ha fatto sapere con una nota che non intende rivedere la decisione di chiudere lo stabilimento di Riva di Chieri. Una decisione “motivata dal panorama competitivo e da complessità di lunga data che hanno portato l’impianto a non essere più redditizio nonostante gli investimenti significativi effettuati nel corso degli anni”. Embraco puntualizza anche che “prima di giungere a questa decisione sono stati attentamente valutati diversi scenari alternativi ma nessuno ha rappresentato una soluzione appropriata per continuare la produzione nello stabilimento”, un modo per rispondere, indirettamente e senza entrare in polemica con il governo, a quanti l’hanno accusata di voler scappare dall’Italia lasciandosi macerie alle sue spalle. Lo si evince dalla sottolineatura che l’azienda fa” delle proprie responsabilità nei confronti dei dipendenti” e del suo impegno a lavorare in stretta collaborazione con le istituzioni locali e nazionali e con i rappresentanti dei lavoratori “al fine di trovare soluzioni adeguate e valide per le persone coinvolte”.
Non è certo questa la percezione che hanno avuto i sindacati da quando, a fine 2017, Embraco ha rottamato i contratti di solidarietà precostituendo di fatto le condizioni della chiusura. La scorsa settimana le sigle dei metalmeccanici hanno abbandonato il tavolo convocato presso l’Unione industriale di Torino a causa della rigidità con cui il gruppo brasiliano ha difeso la sua proposta di riassumere i dipendenti con contratti part – time. Una soluzione penalizzante rispetto alla cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione, l’unica in grado di tenere aperta la porta al progetto di reindustrializzazione cui sta lavorando il governo con Invitalia. Sotto questo aspetto negli ultimi giorni qualcosa già si è mosso: due aziende, infatti, una straniera l’altra italiana, avrebbero manifestato interesse per lo stabilimento di Riva di Chieri. In settimana il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda vedrà i sindacati per aggiornarli sulla situazione.