di Silvia Boschetti
Enfasi e verità dogmatica di quanto pubblicato sui social media cominciano, seppur lentamente, a lasciare spazio al reale uso che se ne è fatto: uno sfogatoio di scarso livello. Contenuti deboli, frustrazioni personali, campagne d’odio, linguaggi violenti li hanno trasformati in luoghi da evitare. Tra le conseguenze di questi anni trascorsi tra banalità e messaggi veicolati con dolo c’è anche, purtroppo, quello di aver creato una comunità consistente di ”creduloni”ormai anestetizzati ed incapaci di distinguere il vero dal falso. Solita morale di detrattori reazionari, si potrebbe pensare. Ma non è così, come pure sempre più ricerche confermano. L’ultima in ordine di tempo rivela drammaticamente che su i social media un utente su 3 non distingue la pubblicità dai contenuti. E il 75% di quelli che visita YouTube considera gli spot fastidiosi. Sono alcuni dati contenuti nella ricerca di Blogmeter ”Italiani e social media”realizzata su un campione di 1.500 persone tra i 15 e i 64 anni. La società di analisi identifica due tipologie di social, quelli di cittadinanza usati più volte a settimana e quelli funzionali usati per esigenze specifiche. Nella prima categoria il primato spetta a Facebook con l’84%, seguito da YouTube e Instagram. WhatsApp non viene considerato una chat ma un social a tutti gli effetti ed è usato dal 94%. I principali social funzionali risultano Trip Advisor e Messenger. Come usano gli italiani queste piattaforme? Il 42% si limita a leggere i contenuti altrui, il 13% scrive propri post senza attenzione a quelli di altre persone. Riguardo poi la Generazione Z il 95% usa WhatsApp tutti i giorni.
Eppure il potenziale per fare di più e meglio c’era e c’è ancora. A patto di abbandonare i bassi profili.