Il nuovo piano strategico di Unicredit, traguardo il 2018, non fa sconti sul fronte del lavoro: 18mila e 200 esuberi sparpagliati tra Italia, Germania, Francia ed Europa orientale, la cessione della controllata ucraina e la messa in vendita, nel 2016, del retail (Austria) e del leasing (Italia), una sforbiciata alle filiali (ne chiuderanno 800). Tutto con l’obiettivo di portare l’utile a 5,3 miliardi, un target al cui raggiungimento concorre la riduzione dei costi per 1,6%.
Per l’ad Federico Ghizzoni si tratta ”un piano rigoroso e serio e al tempo stesso ambizioso”. Ghizzoni aggiunge anche l’aggettivo ”realistico” perché - spiega - si basa ”su azioni che dipendono dalle nostre scelte manageriali ed è un piano totalmente autofinanziato”.
La Borsa ha apprezzato e nel pomeriggio il titolo a Milano veleggiava a + 3%. I sindacati molto meno, anche perché i rumors delle ultime settimane raccontavano di numeri più contenuti sul lato dell’occupazione, con tagli fermi a quota 12mila sul totale del gruppo. Ma soprattutto le sigle di categoria - che ieri hanno incontrato l’azienda - non hanno digerito l’aumento degli esuberi per le attività italiane, lievitati dai 5700 previsti dal precedente piano a 6.900. Una cifra quest’ultima cui si arriva sommando 560 nuove eccedenze agli eventuali tagli, circa 400, nel leasing : “Non è accettabile che Unicredit riveda, ancora una volta aumentandolo, il numero degli esuberi rispetto a quelli previsti nel piano industriale 2013-2018”, dice il segretario nazionale della First Cisl Pier Luigi Ledda. Per far quadrare i conti e sostenere i dividendi, denuncia il sindacalista, Unicredit propone la solita formula ”che abbiamo visto adottare negli ultimi anni”, cioé il taglio dle costo del lavoro. ”Una strategia miope”, la definisce Ledda, che pianta già i paletti sul negoziato: “In ogni caso gli esuberi dovranno essere gestiti con il Fondo di Solidarietà, sotto forma di prepensionamenti volontari”.