Venerdì 22 novembre 2024, ore 18:51

Welfare

Povertà, Cisl: il 2017 sia l’anno della svolta

Proseguono le audizioni sul Ddl Povertà al Senato. Oggi pomeriggio alle 15 è stata la volta di Cgil, Cisl e Uil. Di seguito ecco il testo presentato dal segretario confederale della Cisl, Maurizio Bernava, responsabile del Dipartimento politiche sociali di Via Po alla XI Commissione Lavoro e Previdenza Sociale di Palazzo Madama.

Per la prima volta in Italia si cerca di contrastare la povertà in maniera strutturale. Il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale destina allo scopo 600 milioni per il 2016 e 1 mld dall’anno prossimo. Sommando i fondi passati siamo ad uno stanziamento superiore ad 1,5 miliardi annui. Finora non c’era mai stato uno stanziamento di simile entità. Prima le misure erano state sperimentali ed una tantum (dal reddito minimo d’inserimento, fine anni ’90, alla social card e al SIA sperimentato nelle 12 città principali). Anche l’estensione del SIA partita ad inizio settembre su tutto il territorio nazionale costituisce, pur nella sua innovazione, un esperimento su larga scala su una parte della popolazione in povertà ed è vincolato nei fondi e nella durata. Lo stanziamento strutturale non è ancora sufficiente ad introdurre una misura universalistica e dunque, a nostro parere, ne va previsto un incremento progressivamente crescente negli anni a venire. Occorre infatti dare un orizzonte definito (ad es. un quadriennio) con un obiettivo chiaro, il sostegno di tutte le famiglie in povertà assoluta, ed incrementare le risorse negli anni in modo da raggiungerlo. Il governo ha più volte annunciato di voler incrementare il Fondo nella prossima Legge di Stabilità con 500 milioni annui. Ci auguriamo che tale cifra venga confermata nei prossimi giorni poiché costituirebbe un altro passo importante nella giusta direzione. Pensiamo che sia indispensabile per cogliere l’obiettivo del Reddito d’Inclusione che una parte rilevante delle risorse vadano destinate al potenziamento dei servizi necessari all’efficace applicazione dello strumento, che risultano particolarmente carenti in alcune zone del paese e da riorganizzare in altre. L’Alleanza contro la povertà, della quale la Cisl fa attivamente parte, ha elaborato e proposto l’adozione del Reis, come strumento di lotta alla povertà. Tale proposta è stata riconosciuta nel dibattito attuale come una delle più avanzate in campo. Il disegno di legge in esame già contiene alcuni importanti elementi del Reis, in parte recepiti dal governo ed in parte introdotti nel corso del passaggio alla Camera dei Deputati. Le considerazioni della Cisl sul ddl partono dunque dall’auspicio che la discussione che si apre oggi in questa sede possa determinare ulteriori miglioramenti al testo e che da quest’ultimo possa scaturire uno nuovo strumento di welfare, fortemente orientato a rafforzare interventi di inclusione sociale, simile a quello da noi disegnato. Riteniamo infatti che l’attuale sistema di welfare necessiti di una profonda riforma, che crei un pilastro sociale accanto a quelli tradizionali della previdenza e della sanità, ma che tale pilastro trovi un elemento fondante nel nuovo Reddito d’inclusione, poiché vi è innanzi tutto da colmare la lacuna rispetto agli altri paesi europei, non a caso richiamata più volte dalla stessa Commissione, dovuta all’assenza di uno strumento di contrasto alla povertà a favore degli ultimi. Ormai persino la Grecia, ultimo paese con noi a non avere un simile strumento, si sta incamminando su questa strada. Pensiamo che il ddl delega possa aprire questa nuova strada per il nostro welfare purché opportunamente indirizzato. Il 2017 deve essere un anno di svolta perché la volontà del governo, la priorità indicata dall’opposizione, la spinta delle parti sociali, l’accordo delle associazioni all’interno dell’Alleanza contro la povertà e le indicazioni europee si muovono tutte nella medesima direzione. Potrebbe non ripetersi in futuro questa opportunità.

Alcune note di dettaglio sul provvedimento

Sono importanti ed innovativi i riferimenti al livello essenziale delle prestazioni ed alla povertà assoluta richiamati nel testo (comma 1 lettera a). Del tutto condivisibile anche l’unicità dello strumento, il riferimento non solo all’Isee ma anche al reddito effettivamente disponibile e ad indicatori della capacità di spesa nella sua definizione. Ricordiamo infatti il Reis utilizza la soglia Isee come aggiuntiva, mentre il calcolo del sostegno economico viene fatto in base al reddito disponibile familiare con una metodologia che ci sembra più equa. Fondamentale anche l’introduzione della condizionalità, che impone un legame tra il sostegno economico ed un adeguato percorso di reinserimento socio-lavorativo per i nuclei beneficiari (comma 2 lettera a). E’ necessaria, per evitare che tali nuclei permangano in condizione di difficoltà e la misura risulti a carattere esclusivamente assistenziale. In tal senso riterremmo un grave errore limitare gli interventi ad un sostegno monetario. L’importo del sostegno economico e la platea dei beneficiari dipendono direttamente dall’entità del Fondo fissato dalla legge di stabilità ed eventualmente incrementabile dal ddl (comma 2 lettera b). Il riordino delle misure assistenziali, tuttavia, è stato fortemente indebolito nel passaggio alla Camera e risulta ormai ristretto, in maniera forse anche eccessiva, da una serie di vincoli. La scelta di intervenire solo sulle nuove prestazioni (comma 3 lettera b), se da un lato garantirà le prestazioni in essere d’altra parte finirà per determinare un sistema duale di non facile gestione, generando in ultima istanza un ammontare di risorse piuttosto contenuto negli anni a venire. Condividiamo peraltro l’esclusione delle misure di carattere previdenziale da tale riordino e riteniamo che quest’ultimo debba servire principalmente ad arrivare ad uno strumento unico di contrasto alla povertà piuttosto che a reperire risorse per contrastarla, giacché nel nostro paese queste ultime risultano bene al di sotto dei nostri partner europei. Se dunque l’ampiezza di questo processo dovesse rimanere così limitata occorrerà a maggior ragione destinare nuove risorse al Reddito d’Inclusione con le prossime Leggi di Stabilità. Riteniamo che un sostegno economico che prescinda dai costi dell’abitare, che costituiscono uno dei problemi principali per le persone in povertà, non sia equo nei confronti di chi non possiede una propria abitazione. Riteniamo dunque che tali costi vadano introdotti nella definizione di reddito disponibile (comma 2 lettera a) e dunque nella quantificazione del beneficio, anche per consentirne una sua differenziazione al livello territoriale. Occorrerebbe una specificazione più puntuali dei servizi alla persona (comma 2 lettera b) che risultano parte dei livelli essenziali (ad es. informazione, accesso ai servizi, presa in carico e percorsi di reinserimento socio-lavorativi) anche per poterne meglio valutare e monitorare l’efficacia. L’incremento della platea dei beneficiari resta legato al Piano nazionale per la lotta alla povertà (comma 2 lettera f) e tuttavia risulta vincolato prioritariamente ad alcune tipologie familiari (famiglie con minori, o con figli disabili gravi, donne in stato di gravidanza accertata e persone over 55 disoccupate). Avremmo preferito che si partisse dai più poveri tra i poveri ma cominciare dalle famiglie con minori, stante la carenza di sostegno per questi ultimi anche in termini di servizi e data la crescita particolarmente rilevante della povertà negli ultimi anni per questa tipologia familiare, ci sembra comunque un buon second best. In un ottica di raggiungimento di una misura a carattere universale occorrerebbe tuttavia evitare di vincolare ulteriormente la platea degli aventi diritto privilegiando, laddove le risorse restassero scarse, le persone in maggiori difficoltà economica. Cominciare da qualcuno è necessario nell’ottica di un processo graduale che noi pure indichiamo nel Reis. Tuttavia la gradualità è richiesta non solo per ragioni di scarsità di risorse, ma anche e soprattutto per la necessità di darsi del tempo per costruire quei servizi utili al sostegno ed all’efficace attuazione della misura soprattutto in quelle realtà territoriali dove l’infrastrutturazione sociale risulta carente. Anche l’esperienza del SIA nelle 12 città principali c’insegna che è comunque necessario un periodo di rodaggio. Da questo punto di vista occorre che il percorso della delega sia disegnato tenendo conto dell’estensione della sperimentazione prevista in quest’anno e del suo monitoraggio che andrà effettuato in maniera più puntuale ed efficace rispetto al passato per poter dare le informazioni utili ad un efficace applicazione del Reddito d’Inclusione. La necessaria restrizione della platea dei riceventi non deve tuttavia esimere dalla certezza sostantiva di raggiungere in un percorso pluriennale tutti i nuclei in povertà. Occorre fissare a riguardo un preciso obiettivo e definire il tempo per raggiungerlo con gradualità. Non vogliamo infatti che la misura rimanga di natura categoriale, poiché risulterebbe insufficiente a coprire le esigenze, incoerente con la definizione di livello essenziale ed in ultima analisi replicherebbe un errore del passato che troppo spesso abbiamo visto nelle politiche sociali: la carenza di stanziamenti rispetto ai bisogni determina una misura che copre solo in parte il problema e finisce per essere una sorta di misura tampone destinata a rimanere parziale. Il giusto ricorso ai Fondi Europei per lo sviluppo dei servizi connessi al nuovo strumento (comma 2 lettera e), non deve esaurire le risorse dedicate allo scopo, poiché l’entità di questi non è sufficiente a sostenere adeguatamente una misura a carattere universale; inoltre per loro natura tali fondi hanno un carattere temporaneo, pur abbracciando un periodo pluriennale. Noi riteniamo invece che il sostegno ai servizi, data la loro carenza, debba essere consistente e permanere nel tempo con risorse strutturali (nel Reis poco meno di un quarto delle risorse complessive, 1,6 mld su 7,1 viene destinato allo scopo). Condividiamo in linea di massima l’approccio indicato per la presa in carico (comma 2 lettera f); riteniamo che i Comuni, anche in forma associata di ambiti, debbano essere i principali gestori del percorso di reinserimento socio-lavorativo dei nuclei beneficiari, valutandone i bisogni ed indirizzandoli in base a questi verso i centri per l’impiego o i servizi sociali. Di massima importanza anche il ruolo del terzo settore all’interno di tali percorsi. Vorremmo che il nuovo strumento non generasse disincentivo all’accettazione di un lavoro a causa di una “trappola di povertà” e perciò riterremmo utile la permanenza almeno in un primo tempo di una parte del sussidio anche qualora i beneficiari entrassero nel mercato del lavoro, nel caso in cui il reddito dei medesimi non fosse adeguatamente elevato. Questo elemento andrebbe meglio esplicitato (comma 2 lettera h). Riteniamo che la parte relativa al rafforzamento e coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali (comma 4) sia fondamentale e sia anche stata dovutamente rafforzata nel passaggio alla Camera. Manca tuttavia ancora un riferimento chiaro alle attività formative e alla loro importanza, che dovrebbero ricevere attenzione ed investimenti, altrimenti si rischia di non fornire agli operatori gli adeguati strumenti per lavorare al meglio. Occorre infine sottolineare che andrebbe rafforzata la trasparenza e l’accessibilità ai dati e alle informazioni necessarie al monitoraggio (comma 4 lettera i) rendendoli disponibili ai soggetti sociali (comma 4 lettera h), che parteciperanno alla strategia di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale".

( 11 ottobre 2016 )

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