Deutsche Bank passa ai tagli di personale dopo aver annunciato una pesante battuta d’arresto nei conti (utile in calo del 79%) del primo trimestre. Il colosso tedesco, attraversato da forti turbolenze interne tra gli azionisti, ha comunicato a fine aprile che procederà ad un pesante piano di ristrutturazione finalizzato alla riduzione dei costi. Le attività più colpite saranno quelle negli Usa, dove già sono stati messi alla porta 300 manager, e in Asia.
I tagli al personale sono una costante geli ultimi anni per la banca tedesca, un gigante globale che da tempo pare aver perso la bussola (ha chiuso in rosso gli ultimi tre esercizi). L’accordo firmato giovedì notte dai sindacati italiani, che prevede 222 uscite (circa il 5% dei 4mila dipendenti del gruppo nel nostro paese), ha questo retroterra. Non è frutto infatti delle ultime indicazioni giunte da Francoforte ma ricade sotto il piano Strategy 2020 varato nel 2015. Nell’intesa sindacati e azienda hanno definito un percorso di uscita su base volontaria di qui al 2025 attraverso l'utilizzo del fondo di solidarietà di settore per un massimo di 5 anni. Stabilita anche l'erogazione di incentivi che prevedono una una tantum di 2.550 euro, cui si sommano da 4 a 6 mensilità aggiuntive a seconda del periodo di permanenza nel fondo e un ulteriore indennizzo pari al 5,5% della retribuzione annua lorda mensilizzata per ciascun mese intercorrente tra l'accesso al fondo e il pensionamento, nonché la maturazione del premio di anzianità. "La nota negativa è che ancora una volta una riorganizzazione ha bruciato posti di lavoro, l'aspetto positivo è che un efficace sistema di relazioni sindacali ha sventato il rischio delle esternalizzazioni ipotizzate dall'azienda e ha consentito la gestione degli esuberi con un sistema volontario di incentivazioni che trova pochi altri riscontri negli ultimi anni in Italia", commenta di Sara Barberotti, della segreteria nazionale di First Cisl.
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