Sabato 23 novembre 2024, ore 4:14

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Carniti, il rischio di una società senza corpi intermedi

Il sigaro è sempre quello. Lo slogan pure: “Lavorare tutti, lavorare meno”. A 80 anni Pierre Carniti, storico leader della Cisl che incarnò più di chiunque altro il principio dell’autonomia, ribadisce quelli che rappresentano, o dovrebbero rappresentare, i punti fermi dell’azione del sindacato confederale: riunificare il mondo del lavoro attraverso una base di diritti uguale per tutti e combattere la disoccupazione ripartendo il lavoro che c’è. "Degli accordi che non conosco nei dettagli e che comunque non ho firmato io non commento", avverte. Ma, all’indomani della crisi di governo apertasi con la vittoria del no al referendum costituzionale, la presentazione della biografia del grande sindacalista è l’occasione per discutere del legame tra le organizzazioni di rappresentanza e la propria base, messo a dura prova dai processi di una globalizzazione senza regole che ha favorito la crescita delle diseguaglianze e di un sentimento di diffusa frustrazione nel tessuto sociale, i cui effetti si fanno sentire più forti ad ogni tornata elettorale.
Carniti, la sua posizione per il 'no' alla riforma costituzionale per ragioni di merito è nota. Ma il risultato referendario appare piuttosto frutto di un malessere più profondo e diffuso che si era già manifestato tanto con la Brexit che nell'elezione di Trump...
Evidentemente, all'origine c'è una responsabilità delle élites economico-finanziarie che hanno imposto una globalizzazione sorretta da un affieviolimento, in alcuni casi fino alla loro scomparsa, dei diritti. E questo determina un sentimento di ostilità nelle persone che sono realmente danneggiate, o si percepiscono come tali. La globalizzazione, infatti, che ha pure degli elementi positivi - in Cina ed in India, ad esempio, milioni di persone sono usciti da una condizione di indigenza totale – si è retta sulla svalutazione del lavoro. Quello che sta avvenendo è la conseguenza di una globalizzazione senza regole. E che, per essere senza regole, ha avuto bisogno di ridurre, eliminare, abbattere, limitare, i diritti dei gruppi organizzati. Un fenomeno sorretto anche da una pseudoteorizzazione intellettuale secondo la quale la nuova situazione mondiale esigeva il superamento della disintermediazione e quindi l’inutilità dei corpi intermedi ai fini della democrazia e della crescita. Renzi è un esempio: ha spiegato tranquillamente che i corpi intermedi sono inutili. Aggiungo che tra i lavoratori è venuto meno un senso di appartenenza, mentre è aumentata la tendenza all'individualismo, che dai ceti benestanti ha via via coinvolto l'intera società. E siccome ciascuno vive problemi che hanno origine da centri decisionali lontani e fuori dalla propria sfera di influenza e di capacità di condizionamento, il risultato è un diffuso sentimento di frustrazione, a cui le organizzazioni sindacali, anche per ragioni in parte oggettive (perché il lavoro è cambiato ed è cambiata l'organizzazione del lavoro), non hanno saputo dare una prospettiva e una speranza nuova.
E quale potrebbe o dovrebbe essere questa speranza nuova, a suo avviso?
Intanto si dovrebbe cominciare con l’unificare il mondo del lavoro dal punto di vista normativo: tra pubblico e privato, tra quelli che sono inseriti e quelli che restano ai margini. Che poi dovrebbe essere la stella polare del sindacalismo confederale. La svalutazione del lavoro, che parte da questa frantumazione innescata da processi che sono fuori dalla portata dei singoli ma anche dei gruppi, ha significato una svalutazione dei diritti del lavoro. E anche una svalutazione economica: il potere di acquisto dei salari, a partire dalla crisi del 2008, ha perso 10 punti, che sono tanti. E questo alimenta un senso di frustrazione ma anche di ribellione.
Sta giustificando la crescita dei populismi in Europa e nel mondo?
Populismo è una parola un po' ambigua, che non chiarisce bene i termini del problema. E poi ci sono due forme di populismo: quello dal basso e quello dall'alto. Quello dal basso porta a ribellioni che sono fuochi di paglia destinati alla sconfitta. Quello dall'alto (Trump insegna) specula e utilizza la condizione di incertezza, di sfruttamento, la convinzione che nessuno ti dà una mano, a fini elettorali. Entrambi però si alimentano di una cultura diffusa nel pensiero neoliberista, della disintermediazione degli interessi. Cioè, si è teorizzato che si era aperta una fase nella quale si poteva fare a meno del sindacato e della contrattazione. E il sindacato, anche in conseguenza delle sue divisioni, non ha saputo opporre un disegno alternativo che costituisse un elemento di attrazione e di speranza. Non si fanno battaglie che possano portare ad un cambiamento della situazione o alle riforme necessarie, se non c'è la speranza che le cose possano cambiare. Oggi la disillusione è invece estremamente diffusa tra fasce sempre più ampie di lavoratori. Aggiungici il fatto che nel frattempo il lavoro è cambiato ed è cambiata anche la struttura dell'occupazione, ed ecco spiegata la condizione disastrosa nella quale oggi ci troviamo.


 (L'intervista integrale a cura di Ester Crea domani su Conquiste Tabloid)

( 6 dicembre 2016 )

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