È tregua sulla web tax. L'amministrazione Biden pur avendo deciso di imporre tariffe a sei Paesi, tra cui l'Italia, in risposta alle loro tasse discriminatorie sulle società tecnologiche americane, allo stesso tempo le ha sospese per sei mesi, aprendo a una soluzione internazionale in ambito Osce e G20. Gli altri Paesi interessati sono Gran Bretagna, Spagna, Austria, India e Turchia. I dazi al 25% avrebbero colpito un import complessivo di quasi 2 miliardi di dollari, di cui 800 milioni dal Regno Unito e 300 milioni a testa da Italia e Spagna. La Commissione europea ha preso atto della prima decisione, quella di introdurre i dazi, e ha "accolto con favore" la seconda, ossia la sospensione. I negoziati multilaterali sul tema in corso presso l'Ocse sono "il luogo giusto per trovare una soluzione globale all'equa tassazione del settore digitale", ha commentato un portavoce dell'esecutivo Ue, auspicando che la tregua "apra lo spazio necessario per risolvere questo problema in modo costruttivo piuttosto che attraverso misure unilaterali".
Non è mancata però una punta polemica: "Vorremmo sottolineare che qualsiasi indagine di un paese terzo deve rispettare il diritto internazionale" e "l'unico modo per giudicare una presunta discriminazione tra partner commerciali è attraverso la risoluzione delle controversie della Wto"Donald Trump aveva lanciato un'inchiesta nel giugno 2020 sulle tasse ai giganti del web imposte da vari Paesi nel mondo ma anche lui aveva sospeso i dazi, che sarebbero dovuti scattare dal 6 gennaio scorso. L'amministrazione Biden è pervenuta alla stessa conclusione, confermando la discriminatorietà delle tasse a giganti come Google e Facebook ma congelando le misure punitive "per dare tempo ai negoziati multilaterali di progredire". Un crescente numero di Paesi, molti dei quali in Europa, hanno introdotto la digital tax per la frustrante lentezza con cui procedevano le trattative su una tassa globale valida ovunque, impegnandosi però a revocarla in caso di accordo.
A spianare la strada per una soluzione è stata proprio l'amministrazione americana, con la segretario al tesoro Janet Yellen e il presidente Joe Biden che hanno proposto una global minimum tax del 15% sui profitti di Big Tech. Meno di quanto si aspettassero gli specialisti, ma col pregio di incassare un ampio consenso. Tanto che ci si aspetta che i ministri delle finanze del G7 sostengano ufficialmente la proposta nella loro riunione di venerdì a Londra.
Una mossa che potrebbe preludere ad un endorsement dei leader G7 nel summit di metà giugno in Gran Bretagna e poi a a fine ottobre a Roma al vertice G20 a guida italiana. Un accordo metterebbe fine a divisioni e polemiche sull'elusione fiscale dei giganti tech americani, noti come 'The Silicon six', che finora hanno spostato i profitti nei paradisi fiscali: secondo un rapporto dell'organizzazione Fair Tax Foundation, Amazon, Facebook, Apple, Netflix, Google e Microsoft hanno pagato globalmente almeno 100 miliardi di dollari di tasse in meno tra il 2011 e il 2020. Ma l’amministrazione americana è impegnata anche su un altro fronte. Infatti, nuove tensioni tra Usa e Cina, dopo che Joe
Biden ha chiesto all'intelligence americana un nuovo rapporto entro 90 giorni sulle origini del Covid lasciando aperta l'ipotesi di una fuga dal laboratorio di Wuhan. Ora il presidente ha firmato un nuovo ordine esecutivo che dal 2 agosto vieta agli americani di investire in aziende cinesi quotate legate alla difesa o impegnate nella vendita di tecnologie di sorveglianza, sia dentro che fuori la Cina, usate per reprimere il dissenso o le minoranze etniche e religiose. Il bando riguarda anche i fondi che investono in queste società: avranno un anno per disinvestire. Nella blacklist ci sono già 59 aziende del Dragone. Biden ha di fatto rafforzato ed esteso il decreto emesso in novembre da Donald Trump, aggiungendo altre 28 aziende ed includendo quelle che producono e installano le tecnologie di sorveglianza, impiegate ad esempio contro gli Uiguri o i dissidenti a Hong Kong e nella diaspora cinese nel mondo. Una mossa che arriva mentre si intensifica la battaglia commerciale ed ideologica tra Washington e Pechino in quella che Biden ha definito una sfida vitale tra "democrazia e autocrazia".
Rodolfo Ricci