Venerdì 22 novembre 2024, ore 20:12

Trattati di Roma

Verso un’Europa à la carte

L'ultima versione della bozza della Dichiarazione di Roma, che i capi di Stato e di governo dei Ventisette (l'Ue meno il Regno Unito della Brexit) dovrebbero sottoscrivere solennemente in Campidoglio sabato 25 marzo, in occasione del 60esimo anniversario del Trattato della Comunità economica europea è pronta. Resta ancora, tuttavia, la riserva della Grecia, che vorrebbe nella Dichiarazione un impegno più forte a tutela dei diritti sociali e del lavoro, in questo momento messi sotto forte pressione dalle richieste di “riforme” dei creditori, e in particolare dal Fmi, nell'ambito del programma di salvataggio finanziario di Atene.

Certo non hanno giovato le affermazioni del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem contro i paesi del Sud. Durissimo stamane il commento del segretario generale della Ces, Luca Visentini. “I suoi insulti verso i Paesi che 'spendono soldi in donne e denaro' - sottolinea il leader della Confederazione sindacale europea - sono già orrendi, ma il vero problema è che lui non sarà più per tanto tempo ministro del governo olandese. Deve dimettersi immediatamente. Il suo partito ha perso le elezioni e lui deve dimettersi. L'Europa ha bisogno di un presidente dell'Eurogruppo dalla mente aperta che possa costruire consenso tra i vari ministri per raggiungere ciò di cui l'Europa ha disperatamente bisogno: un modo per aumentare gli investimenti pubblici, per riformare il Patto di Stabilità, e per stimolare la domanda attraverso aumenti salariali nel settore pubblico e privato”. Insomma, di tutte quelle politiche che un falco dell’austerity come Dijsselbloem ha sempre osteggiato. In realtà, a Bruxelles, nessuno pensa che il premier greco Alexis Tsipras arrivi davvero a negare all'ultimo momento la sua firma alla Dichiarazione, che ha come obiettivo principale proprio quello di mostrare l'unità, nonostante tutto, dei Ventisette dopo l'uscita traumatica di Londra (“l'Europa è il nostro futuro comune”, è la frase con cui si conclude la Dichiarazione). Sta di fatto che l’Ue non poteva arrivare al tagliando in un un momento peggiore. E anche il semplice fatto che il premier greco per l’ennesima volta si ritrovi da solo a condurre la sua battaglia, la dice lunga sull’opportunismo dei singoli leader europei, più attenti ai propri calcoli elettorali che ai valori comuni cui dovrebbero fare riferimento. Salvo poi prenedersela con il populismo ed i nazionalismi dilaganti. Prendiamo il caso della Polonia, che pure minaccia di non firmare la dichiarazione di Roma se le conclusioni non conterranno dei punti che il suo governo considera fondamentali: l'unità dell'Ue, la difesa, la collaborazione con la Nato, il rafforzamento del ruolo dei Parlamenti nazionali e “il principio del mercato unico che non deve dividere ma unire”. Che suona come una pietra tombale al concetto di “Europa a più velocità”; che ormai non appare più in quanto tale, come nuova via da seguire, ma è stato ridotto a un richiamo alla formula delle “cooperazioni rafforzate”, già presente nel Trattato Ue e rispondente a realtà già operanti nella pratica.

Alla fine, su questo punto il testo è stato modificato così: “Agiremo insieme, muovendoci nella stessa direzione, con un ritmo (o 'passo', ndr) e un'intensità diversi quando sarà necessario, come abbiamo fatto in passato, in linea con i Trattati Ue e lasciando la porta aperta per quelli che vorranno aggiungersi più tardi. La nostra Unione - si sottolinea per fugare i timori dei paesi dell'Est - è indivisa e indivisibile”.

In risposta alle richieste della Grecia - che hanno trovato sponda, se non altro, nei sindacati europei - quanto meno è stata aggiunta nel capitolo sull'Europa sociale una parola fondamentale che mancava prima: “disoccupazione”. L'Unione “combatte la disoccupazione, la discriminazione, l'esclusione sociale e la povertà”, si legge nel testo. C’è, inoltre, il richiamo al ruolo dell'Unione nel “creare crescita e lavoro”, e nel promuovere “il progresso economico e sociale, così come la coesione e la convergenza” fra le economie degli Stati membri, “mantenendo l'integrità del mercato interno e tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo chiave dei partner sociali”. Infine, c'è un riferimento ai giovani, che devono “ricevere la migliore educazione e formazione” e poter “studiare e trovare lavoro in tutto il Continente”. Ma la “chicca” è un’altra. E cioè la personale vittoria di Jean-Claude Juncker, che è riuscito ad inserire quello che è un po’ il suo cavallo di battaglia: una Unione “grande sulle grandi questioni e piccola su quelle piccole”, secondo una interpretazione del principio di sussidiarietà che potrebbe portare alla rinazionalizzazione di alcune politiche comuni (come voleva il Regno Unito e come vorrebbero i paesi dell'Est, e anche certe lobby industriali, in particolare per quanto riguarda l'ambiente). Ma visto che il Regno Unito comunque non ci sarà più, è abbastanza chiaro quali interessi abbiano pesato di più.

(Altri servizi domani su Conquiste Tabloid)

( 23 marzo 2017 )

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