Alla vigilia dei nuovi colloqui tra Kiev e Mosca, in programma oggi in Turchia, il presidente Volodymyr Zelensky ha affermato di essere pronto ad accettare lo status di neutralità dell'Ucraina come parte di un accordo di pace con la Russia. "Lo status neutrale e non nucleare del nostro Stato: siamo pronti ad accettarlo". Era la prima richiesta di Mosca "e per quanto ricordo hanno iniziato la guerra per questo", dice il presidente ucraino in un'intervista con dei giornalisti indipendenti russi. Qualsiasi accordo dovrà essere sottoposto al popolo ucraino in un referendum, ha ribadito Zelensky sottolineando ancora una volta di voler raggiungere "senza alcun indugio un accordo di pace per il ripristino di una vita normale nel suo Paese". La guerra continua a creare rischi estremi per l'economia europea e la Bce mantiene la rotta verso una politica monetaria meno espansiva di fronte al rischio di un'iper-inflazione, e preannuncia una stretta anche per gli aiuti pandemici alle banche.
Anche se tutte le opzioni restano aperte: incluse misure 'ad hoc' per contenere gli spread. Per capire perché Fed e Bce paiono più attente al rischio inflazione che a quello di una recessione, bisogna andare indietro allo shock petrolifero degli anni '70. La cui eredità fu una iper-inflazione dovuta anche alla politica monetaria espansiva delle banche centrali. Di fronte allo shock energetico di adesso, Fed e Bce non vogliono fare lo stesso errore. Pur con uno scenario economico precipitato nel giro di un mese, stanno ritirando le misure d'emergenza pandemica. La Fed ha già alzato i tassi. La Bce, più cauta, per prima cosa ridurrà gradualmente gli acquisti 'nuovì di bond, nell'ottica di azzerarli fra luglio e settembre, a patto che le prospettive d'inflazione - che paiono sempre più ancorate all'obiettivo di medio termine del 2% - non si indeboliscano. Il successivo rialzo dei tassi non sarà immediato, "ma avverrà in un momento successivo". Il quadro che ha davanti la Bce,confermato dall’ultimo Bollettino economico, è di una crescita che, nello scenario base, si ferma al 3,7% nel 2022 (4,2% era la stima pre-guerra) e al 2,8% in 2023. Ma c'è anche uno scenario "grave" con una crescita che dal 5,4% del 2021 crolla al 2,3% quest'anno e il prossimo. S&P, che ha tolto 0,7 punti percentuali alla crescita mondiale (3,7% nel 2022) ha già tagliato al 3,2% la sua previsione per l'area euro, dal 4,4% di poche settimane fa. Gli indici Pmi dell'Eurozona segnalano una tenuta (54,5 a febbraio) ma anche un forte peggioramento delle aspettative future.
Tutto, infatti, rischia di peggiorare con il prolungarsi della guerra e l'escalation delle sanzioni: è la stessa Bce ad avvertire che i rischi estremi al ribasso derivanti da un ulteriore inasprimento delle tensioni potrebbero essere significativi e compromettere la ripresa mondiale. Ma il timore principale è che lasciar correre l'inflazione peggiorerebbe le prospettive economiche, proprio come accadde dopo lo shock petrolifero. Lo scenario principale della Bce stima l'inflazione al 4,1% quest'anno, quello "grave" al 7,1%. S&P scrive 5,1%. Nessuno sa esattamente come andrà a finire, ora che anche uno 'stop' all'import di gas dalla Russia è sul tavolo e che Mosca risponde chiedendo di essere pagata in rubli. Per la Bce, allo stato attuale è meglio non soffiare sul fuoco dell'inflazione continuando con acquisti netti di debito.
Rodolfo Ricci