Sarà ricordato come il più grande sciopero generale in Tunisia dall'assassinio del leader dell'opposizione Chokri Belaid nel febbraio 2013, quando il paese stava attraversando una difficile transizione verso la democrazia dopo il crollo del regime di Ben Ali due anni prima.
Da allora la Tunisia ha adottato una costituzione che garantisce i diritti fondamentali e tiene libere elezioni, diventando l'unico paese della "primavera araba" ad evitare conflitti come in Siria o ulteriori periodi di disordini politici come l'Egitto. La crisi economica però ha eroso gli standard di vita dei tunisini, l’alta disoccupazione ha fatto crescere il disagio sociale e la mancanza di riforme ha scoraggiato gli investimenti necessari per creare posti di lavoro. Ciò ha costretto il governo a varare misure di austerità come contropartita ai finanziamenti ricevuti dal Fondo Monetario Internazionale.
Da qui lo scontro con il sindacato, culminato con lo sciopero di ieri, proclamato dalla potente Unione Generale Tunisina del Lavoro (Ugtt) per chiedere aumenti salariali per i dipendenti pubblici. Il governo aveva provato a negoziare con il sindacato per evitare lo sciopero, ma il tavolo è fallito. Il portavoce del governo Iyed Dahmani ha fatto sapere che la proposta dell'Ugtt avrebbe richiesto allo stato 2500 milioni di dinari (oltre 740 milioni di euro), circa il doppio del costo della controproposta del governo.
Sami Tahri, vice segretario generale dell'Ugtt, dal canto suo ha criticato il governo per essersi fatto dettare la linea dall'Fmi e aver scelto lo scontro con i dipendenti pubblici. Alcuni manifestanti, hanno alzato ritratti del direttore del Fondo, Christine Lagarde, con sopra una croce rossa, mentre il giornale dell'Ugtt ha pubblicato un fotomontaggio che mostrava il premier Youssef Chahed come marionetta di 'Madame Lagarde'. Il paese, fortemente indebitato verso i donatori stranieri, ha ottenuto nel 2016 dall’Fmi un nuovo prestito di 2,4 miliardi di euro in quattro anni, promettendo di condurre importanti riforme. In particolare, il governo punta a ridurre la spesa salariale del settore pubblico al 12,5 per cento del Pil nel 2020, partendo dall'attuale 15,5 che, secondo l'Fmi è uno dei livelli più alti al mondo.
L’Ugtt, dal canto suo, ribatte che il salario medio mensile, pari a circa 250 dollari, è uno dei più bassi al mondo, mentre l'Istituto statale di studi strategici afferma che il vero potere d'acquisto è diminuito del 40 percento dal 2014.
In ogni caso, domani il sindacato potrebbe annunciare nuove iniziative di protesta.