Sono ore drammatiche per la Grecia, in cui le notizie si rincorrono senza alcuna possibilità di verificarne la consistenza. L’accordo è più vicino? Dipende... E dietro quel dipende, c’è la consapevolezza che il problema non è più economico (se mai lo è stato), ma politico.
Anche perché i numeri ci dicono -e lo stesso Fondo monetario internazionale lo ha ammesso- che la cura da cavallo imposta ad Atene dalla trojka ha aggravato la situazione, piuttosto che risanarla.
Dati alla mano: i salari sono diminuiti del 37%, le pensioni sono stati ridotti fino al 48%, l’occupazione è diminuita del 30%, la spesa dei consumatori è stata ridotta del 33%. Nel frattempo, il disavanzo cronico delle partite correnti è sceso del 16%, il PIL aggregato reale è sceso del 27% mentre il PIL nominale ha continuato a cadere di trimestre in trimestre, il tasso di disoccupazione è salito alle stelle al 27%, il lavoro sommerso ha raggiunto il 34%, le banche stanno lavorando con crediti non performing che superano il 40%, il debito pubblico ha superato il 180% del PIL, i giovani qualificati stanno abbandonando la Grecia in massa, la povertà, la fame e la privazione di energia sono aumentati a livelli di solito associati ad uno stato di guerra e gli investimenti in capacità produttiva sono evaporati.
Vale la pena a queste condizioni per la Grecia restare nell’euro? Il ministro delle finanze ellenico Varoufakis si è detto convinto di non essere pronto all’uscita dall’euro, e che poiché la crisi è stata provocata dall’ingresso nella moneta unica -da cui la Grecia avrebbe fatto meglio a restarne fuori- è l’Ue a dover trovare la soluzione.
Ignora Varoufakis, o fa finta di ignorare, che la soluzione per l’Ue è un altro governo ad Atene, che tagli fuori l’ala oltranzista di Syriza. Negli ultimi anni ha sempre funzionato così. Vedremo come ci si arriverà stavolta.
Per saperne di più, leggi ”Grecia ultima spiagga”, sul blog Icebergfinanza.com