Ventisei poltrone per ventisei Paesi, se si esclude quella della presidenza, non possono essere tutte uguali. Ci sono deleghe pesanti dal punto di vista finanziario, altri simbolicamente importanti dal punto di visto politico, altre ancora che finora erano considerati marginali ma non lo saranno più. La corsa ai portafogli della Commissione, per questo, è intricata almeno quanto quella ai top jobs comunitari. Le due partite si intersecano e chi le gestisce deve far sì che rispecchino due fattori: l'importanza del Paese membro e la forza del partito del governo. Con un'appendice: struttura e titoli delle deleghe di Palazzo Berlaymont cambieranno.
E Ursula von der Leyen ha un'idea: abolire la carica di vice presidente esecutivo, in segno di una maggiore equità tra i membri. Su questa base Giorgia Meloni, ma in realtà tutto il governo, va ripetendo che l'Italia ha diritto ad un portafoglio pesante. Ed è probabile che, alla fine lo ottenga. Il diavolo, tuttavia, sta nei dettagli. E la definizione di 'delega di peso' va dettagliata. Un commissario agli Affari Interni e alla Migrazione, ad esempio, è politicamente centrale ma ha un budget molto limitato. Un commissario alla Concorrenza, invece, ha un potere diretto sui 27 Paesi membri. Il gioco della domanda e dell'offerta dipenderà anche dall'obiettivo di Palazzo Chigi, ancora non definito ma con una tendenza a puntare all'Industria o alla Concorrenza.
L'Italia, tuttavia, non è sola. Francia e Polonia hanno pretese simili. Per l'importanza dei Paesi e, nel caso di Varsavia, per il ruolo di Donald Tusk nella risalita del Ppe. La Spagna ha già un nome forte per la Commissione, quello di Teresa Ribera, braccio destro di Pedro Sanchez e madrina del Green Deal in salsa castigliana che appare destinata a maneggiare il delicatissimo dossier a livello Ue. Il lettone Valdis Dombrovkis, temuto falco dei conti dei Paesi membri, e lo slovacco Maros Sefcovic sono stati ricandidati dai rispettivi governi. La zarina della Concorrenza, Margrethe Vestager, difficilmente verrà invece ripresentata dal governo socialista danese. In Polonia in pole, a prescindere dal ruolo, c'è il ministro degli Esteri, Radoslaw Sikorski.
La Grecia, a Bruxelles, ha da anni il volto di Margaritis Schinas ed è improbabile che il governo di Atene riesca a convincerlo a tornare a casa. La Valletta invece, potrebbe proporre Miriam Dalli, astro nascente del socialismo maltese. Il destino dei commissari olandese e austriaco è poi legato a doppio filo a quello dei rispettivi governi: il primo sta per nascere, il secondo per tramontare. L'Eliseo è chiamato a confermare o meno Thierry Breton, che ha dalla sua l'essere un macroniano di ferro. Ma l'handicap è essere ben poco amato da von der Leyen. La struttura, si diceva, cambierà. Il comparto Difesa non avrà un suo commissario ma uno spazio certamente prioritario, così come la Transizione digitale e la Difesa della Democrazia.
Mentre la delega al Bilancio potrebbe essere arricchita dalla gestione del Pnrr: un'altra casella appetibile per Roma. Ma finora è palpabile il malcontento del Governo italiano. Il trattamento riservato al nostro Paese nell'ultimo summit europeo è arrivato anche al consiglio del Mes, il board dei venti ministri delle Finanze dell'Eurozona aderenti al divisivo Meccanismo di stabilità su cui ancora non c'è la ratifica italiana, unica a mancare. Secondo fonti del Mef il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha sollevato durante l'incontro un tema politico, rivendicando che da Paese fondatore dell'Ue l'Italia si è sentita estromessa dalle decisioni importanti che si vogliono prendere sul futuro dell'Unione. Ha stigmatizzato la "conventio ad escludendum assolutamente sbagliata" e "l' atteggiamento pregiudizievole verso il nostro Paese".
Uno scenario non confermato dal direttore del Mes Pierre Gramegna: "Senza citare precisamente che cosa il ministro Giorgetti abbia detto o non detto nel board non sono state menzionate tematiche sull'isolamento dell'Italia", ha detto, interpellato in conferenza stampa sulle proteste di Giorgetti. Ma lo stesso ministro a controreplicato a stretto giro ribadendo "pur rammaricato per l'evidente equivoco" di aver fatto riferimento al trattamento riservato all'Italia. Durante il board del Mes il ministro italiano, stando ancora al Mef, ha espresso apprezzamento per la relazione fatta da Gramegna sulla possibile revisione degli strumenti a disposizione dell'ex 'fondo salva Stati'. E ha accolto favorevolmente la disponibilità ad allargare gli orizzonti del Mes.
In Parlamento, ha ribadito, una maggioranza per la ratifica del trattato rivisto non c'è. La revisione avviata dal Mes sul proprio funzionamento sembra strizzare l'occhio all'Italia e alla ratifica ancora mancante: ripensare al proprio futuro magari "incoraggerà l'Italia ad avere un'attitudine positiva", ha detto Gramegna. Da sottolineare che sono sei mesi dalla bocciatura in Parlamento della proposta di ratifica, e stando al regolamento potrebbe tornare al voto.
Rodolfo Ricci