Le maggiori economie al mondo, incluse Cina e India, dicono sì alla minimun tax globale del 15% sulle multinazionali. Dopo lunghe e difficili trattative a Parigi in seno all' Ocse, 130 paesi appoggiano l'accordo destinato a ridisegnare il sistema di imposizione fiscale mondiale facendo pagare alle grandi aziende - Apple, Amazon e Facebook incluse - la loro giusta quota di tasse dove operano. Per gli Stati Uniti di Joe Biden, promotori dell'intesa, si tratta di un successo. Il presidente americano brinda a un "passo in avanti verso un'economia più giusta per i lavoratori e la classe media". Un'intesa - aggiunge - che non consentirà più alle multinazionali "di mettere i paesi gli uni contro gli altri nel tentativo di far abbassare le tasse e proteggere i loro profitti a spese delle entrate pubbliche.
Non saranno più in grado di evitare di pagare la loro giusta quota di imposte nascondendo i profitti generati in giurisdizioni a bassa imposizione". Il segretario al Tesoro Janet Yellen gli fa eco parlando una di "giornata storica per la diplomazia economica" e di un enorme progresso per mettere fine alla corsa al ribasso della tasse: l'accordo crea un contesto competitivo in cui gli "Stati Uniti possono vincere". Soddisfazione anche in Europa. Il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, parla di "storico passo verso una tassazione più equa". Il ministro delle finanze tedesco, Olaf Scholtz, di progresso per una maggiore giustizia fiscale. Per l'omologo francese Bruno Le Maire si tratta dell'intesa internazionale sul fisco "più importante da un secolo", mentre il cancelliere dello scacchiere Rishi Sunak la definisce una "nuova tappa nella missione di riformare la tassazione globale". Fredda invece l'Ungheria, uno dei nove paesi che non hanno sottoscritto l'accordo insieme a Estonia, Barbados, Saint Vincent e Grenadine, Nigeria, Kenya, Perù, Sri Lanka. Non ha firmato neanche l'Irlanda, da molti considerata uno dei maggiori paradisi fiscali europei. Invece la Svizzera aderisce all'accordo a determinate condizioni. Con una tassa sulle aziende del 12,5%, Dublino negli anni ha infatti attirato molti grandi colossi, da Apple a Google senza dimenticare Pfizer.
L'intesa genererà circa 150 miliardi di dollari l'anno di ulteriori entrate fiscali, andando così ad aiutare i conti pubblici di molti stati dopo un anno di pandemia. E potrebbe mettere fine alla battaglia sulla tassazione dei giganti del web che realizzano ricavi online in paesi dove la loro presenza fisica è limitata o inesistente.
L'accordo propone un nuovo sistema per determinare quali paesi possono tassare Big Tech e come, rimuovendo potenzialmente una serie di web tax nazionali. Molti dettagli restano ancora da definire ma l'appoggio di 130 paesi spiana la strada a un accordo di principio dal G20 di Venezia come si augura anche il commissario Ue, Paolo Gentiloni: " È stato compiuto un passo storico verso una tassazione più equa delle multinazionali. Fiducioso che il G20 sosterrà questo accordo senza precedenti il prossimo fine settimana", spiega. L'accordo aggiorna elementi chiave del sistema di tassazione internazionale, che non è più adatto all'economia globalizzata e digitalizzata del 21mo secolo, afferma l'
Ocse in una nota. Per l'amministrazione Biden l'intesa è un successo perché la minimun tax globale è un elemento essenziale del piano del presidente per aumentare le entrate fiscali del suo governo e contribuire così a finanziare la sua ambiziosa agenda economica, che prevede investimenti per 4.000 miliardi di dollari.
Ma suproprio sugli Usa pesa una corsa dell'inflazione che spingerà la Fed ad alzare almeno due volte i tassi di interesse entro il 2023. È quanto emerge da un sondaggio del Financial Times fra gli economisti, secondo i quali la banca centrale sarà più falco di quanto il suo presidente Jerome Powell vuole far trapelare. "Con l'inflazione che sale e l'economia che migliora, le differenze fra colombe e falchi all'interno della Federal Reserve inizieranno a riemergere. Lo vediamo ora, e lo vedremo ancora di più", ha affermato Alan Blinder dell'università di Princeton ed ex vice presidente della Fed negli anni 1990. "Una parte essenziale della Fed per mantenere la sua credibilità è rispondere ai dati economici", osserva Karen Dynan dell'università di Harvard. Anche l’Fmi prevede che la Fed alzerà i tassi alla fine del 2022 o agli inizi del 2023. La riduzione degli acquisti di asset dovrebbe iniziare nella prima metà del 2022. È stato scritto nel Fondo nell'Article IV per gli Stati Uniti.
Rodolfo Ricci