Giustizia sociale. O sarà il collasso. Ufficializzato il drammatico fallimento dell’austerità, è il momento di cambiare l’agenda economica dell’Europa. I compiti a casa, stavolta, spettano all’Ue. La “mossa” di Juncker può far ben sperare? Il presidente della Commissione mantiene la promessa e interviene al dibattito sul futuro dell’Unione organizzato dalla Ces. Il sindacato europeo teme che un possibile nuovo elemento di tensione, dopo l’alta disoccupazione e il conseguente aumento della povertà, il terrorismo, la Brexit, l’emergenza rifugiati, possa generare una nuova, fatale crisi a un progetto europeo che sconta una gravissimo deficit di fiducia da parte dei cittadini. Le nuove priorità, allora, secondo la Confederazione europea dei sindacati, sono 3: crescita e creazione di posti di lavoro di qualità e migliori condizioni di lavoro, protezioni sociali e diritti del lavoro più forti, più garanzie democratiche per lavoratori e cittadini. Tutto quello, cioè, che è stato spazzato via dallo tsunami ideologico del neo monetarismo finalizzato a (ri)dare alle elites quello che era delle peggiori elites del peggior turbo capitalismo messianico. Ed è proprio su quelle “macerie” che la Ces vuole rifondare il nuovo patto per il futuro dell’Europa, come vergato nel documento (“Etuc platform on the future of Europe”) consegnato stamane al presidente della Commissione. Che da par suo ha risposto, anche un po’ irritato, “che nessuno può dire che la mia Commissione ha promosso politiche di austerità come è accaduto con quella precedente”. Il sindacato europeo vuole incidere sulla seconda fase del Piano Juncker, per “reindirizzare” le risorse soprattutto verso i Paesi e settori più colpiti dalla crisi e dal misticismo rigorista, mantenendo il sostegno alle politiche industriali e aumentando gli investimenti pubblici, soprattutto con un impegno più marcato della Bei (Banca europea per gli investimenti), per mezzo dell’emersione di investment bonds. Ma il miglior volano per gli investimenti degli Stati membri, sostiene la Ces, è la riforma del patto di stabilità e crescita, che preveda, per esempio, l’introduzione di una golden rule per la flessibilità, e che escluda dal computo del deficit e del debito, investimenti produttivi per le infrastrutture, economia verde, ricerca, sviluppo e innovazione, istruzione e formazione, infrastrutture sociali e servizi pubblici. E sulla flessibilità, ha detto Juncker, riferendosi proprio al nostro governo, che i nuovi meccanismi del patto di stabilità introdotti dalla sua Commissione “hanno permesso all’Italia di avere 19 miliardi in più”.
(Articolo completo di Pierpaolo Arzilla domani su Conquiste Tabloid)