Lunedì 25 novembre 2024, ore 14:21

Mostre

La pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia

di ELIANA SORMANI

Il Castello di Novara ancora una volta propone per la stagione 2024-25 una mostra di grande livello culturale curata da Elisabetta Chiodini dal titolo “Paesaggi.

Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pelizza da Volpedo”. Preparato da Mets Percorsi d’Arte, in collaborazione con il Comune di Novara grazie al sostegno di numerosi sponsor locali, il suggestivo allestimento si prepara ad accogliere un numero sempre maggiore di ospiti, seguendo il trend di crescita degli ultimi anni che ha visto la scorsa stagione raggiungere la considerevole cifra di ben 70.000 visitatori, segno della validità e dell’inte resse suscitato nel pubblico dalle proposte ormai consolidate intorno alla storia della pittura del Ottocento, periodo in cui la città di Novara si afferma sia dal punto di vista culturale come architettonico, urbanistico, sociale ed economico.

La mostra inaugurata il 1 novembre e aperta fino al 6 aprile 2025 si presenta come un vero e proprio viaggio nella natura, tra boschi, laghi e fiumi, dalla montagna al mare, fino a piegarsi nel cuore degli spazi urbani milanesi, tra il Naviglio e il Carrobbio, attraverso 73 opere eseguite tra 1821, anno in cui

Marco Gozzi dipinge “Ponte di Crevola sulla strada del Sempione” e il 1915 data in cui Angelo Morbelli licenzia “Alba domenicale”. Settantatré dipinti eseguiti nell’arco di nove decenni, testimoni di profondi mutamenti nella pittura di paesaggio, durante i quali si avvicendano mode politiche e modi di avvicinarsi alla natura, in un continuo rinnovamento del linguaggio artistico. Il percorso si sviluppa attraverso nove sezioni e illustra l’evolu zione di questo genere attraverso il lavoro di 36 artisti diversi, tutti tenaci sperimentatori, alcuni noti e altri meno noti, italiani e stranieri, gravitati in un territorio circoscritto tra la Lombardia, il Piemonte e la Svizzera, al cui centro si trova proprio la città di Novara. Tante storie attraverso paesaggi, natura e poesia, temi a cui molti pittori famosi nell’Ottocento si sono dedicati, dagli impressionisti ai post impressionisti fino ai macchiaioli, ma oggetto anche di interesse di altrettante affascinanti storie di straordinari artisti meno conosciuti come Migliara, Cannella, Fontanesi, Carcano, fino ad arrivare ai grandi divisionisti come Mapelli, Segantini e Pelizza da Volpedo. Ad accogliere il visitatore nel foyer, posto al primo piano del castello, “Pia nura lombarda”, opera simbolo di Filippo Carcano, uno dei principali sperimentatori del XIX secolo, poco noto ai più, ma importante, non solo per il suo rinnovato linguaggio pittorico, ma anche per le sue invenzioni legate alla creazione di nuovi strumenti tecnici di successo commerciale come i pennelli telescopici che permettevano di dipingere anche a distanza di due metri dalla tela oppure il coltello a due denti: una sorta di pettine largo in metallo che passando sulla tempera fresca lasciava delle linee orizzontali parallele.

Uno strumento a cui anni dopo avrebbero guardato con grande interesse i divisionisti.

La prima sezione della mostra è dedicata al paesaggio romantico e presenta una serie di tipologie con cui esso si configura nella prima metà dell’Otto cento. Prima tra tutti “Il ponte di Crevola sulla strada del Sempione”, opera eseguita nel 1821 da Marco Gozzi, iniziatore del paesaggio moderno. Gozzi aveva ricevuto il suo primo incarico di vedute realizzate dal vero nel 1807 dal governo napoleonico. Il fine delle sue opere, non esistendo ancora una pittura di paesaggio in senso proprio, era quello di documentare la Lombardia moderna soffermandosi sulle opere di ingegneria importanti per lo sviluppo del territorio. Accanto a questo primo paesaggio in sala vengono proposti due lavori di Migliara: una scena alla fiamminga rappresentata su un paesaggio ripreso da più vedute dal vero e un notturno di un’of ficina di maniscalco del 1829, una veduta di invenzione nella quale il pittore, definito dai suoi contemporanei “il mago della luce”, partendo dal vero passa alla tridimensionalità, lavorando con grande maestria sui giochi di luce. Nella stessa sala è esposta anche una grande tela del 1825 di Massimo d’Azeglio “La morte del conte Jossellin di Montmorency”, uno dei primi esempi di “paesaggio istoriato”: il pittore colloca un episodio storico all’interno di un paesaggio ripreso dal vero. Il soggetto del dipinto è un episodio letterario, tratto dal romanzo francese Mathilde di Cottin, ispirato alla storia dei crociati. Una brillante novità questa rispetto alla tradizione dei dipinti storici precedenti, i cui soggetti erano ripresi dal mondo classico. Sarà tuttavia Giuseppe Bisi, erede della pittura di Gozzi, ad essere consacrato dal pubblico e dalla critica come uno dei più importanti paesaggisti (a lui verrà assegnata nel 1838 la prima cattedra di paesaggio istituita all’Accademia di Brera), grazie anche alla sua attenzione verso gli effetti atmosferici come si può notare in mostra sia nella “Veduta di Genova dal Santuario della Madonna del Monte” come in “Veduta di Napoli”.

In questa prima sala non poteva mancare Giuseppe Canella, considerato dalla critica contemporanea il massimo interprete della “paesaggismo romantico”, colui di cui si diceva “dipingesse come Manzoni scriveva”. Di lui sono presenti due tele: una dipinta nel 1832 dopo la sua permanenza a Parigi e una del 1838 dipinta dopo un viaggio nell’Europa Orientale, in cui è presente una svolta intimistica (determinata dal contatto con il vedutismo romantico tedesco), che rimarrà costante nei suoi successivi lavori, caricati, grazie dall’uso di variazioni tonali e riverberi di luci, di grande effetto lirico ed evocativo. La seconda sala mostra l’in fluenza esercitata dal paesaggio d’oltralpe sul paesaggismo italiano. Fin dalla metà degli anni Quaranta le mostre di Brera esponevano opere di paesaggisti stranieri, come Julius Frange, Alexandre Calame e Theodore Rousseau, portatori a metà del secolo di una ventata di aria fresca nell’arte italiana, spingendo i nostri pittori a iniziare a dipingere dal vero.

Questo accade ad esempio con Angelo Beccaria, e Gaetano Fasanotti, il primo dei maestri di Brera a condurre gli studenti a dipingere all’aperto. La sala si chiude con due piccole ma fantastiche opere datate entrambe 1959 “Lungo l’Adda” di Giovanni Carnovali detto il Piccio e il “Vespero” di Antonio Fontanesi dipinto dall’artista (su esempio dei pittori di Barbison) in mezzo alla natura spinto da quel sentimento che “lo commuoveva come uomo e lo motivava come artista”. Con lo stesso pittore si apre la terza sezione in cui sono raccolti lavori di un gruppo di artisti legati tra loro da una profonda amicizia che a partire dagli anni Sessanta si trovano insieme a dipingere all’aperto cercando di restituire sulla tela il vero. L’incon tro con Fontanesi cambierà le sorti di artisti come Alfredo de Andrade, Ernesto Rayper, Tammar Luxoro, Ernesto Bertea, piegandoli a sperimentare e a ricercare sempre nuove soluzioni e non ultimo Carlo Pittara, un “pittore sociale” noto per aver rinnovato la pittura di paesaggio con studi su animali come si vede in “Le imposte anticipate (buoi al carro)”. La quarta sezione della mostra è dedicata agli esordi della pittura di impressione. Tra gli anni Sessanta e Settanta Milano vive un vivace rinnovamento in direzione verista a iniziare da Fasanotti per proseguire con Riccardi, suo successore a Brera, che continua a portare gli studenti dell’accademia a dipingere all’aperto spronandoli a confrontarsi con il vero, a restituire sulla tela i colori, le luci e le ombre presenti in natura come avviene nelle opere di Eugenio Gignus e di Achille Befani Formis datate rispettivamente 1879 e 1873: opere sperimentali considerate allora innovative ma lontane anni luce dalle opere del decennio successivo, come si può notare ad esempio nel confronto con le opere di Filippo Carcano sempre esposte in sala, in cui è fortissimo il rapporto di distanza con gli elementi riportati sulla tela, reso dall’uso anche materico della tempera, per dare l’impres sione di fisicità idonea a restituire il vero, introducendo un linguaggio che diverrà nel giro di poco tempo quello ufficiale del naturalismo lombardo e dei cosiddetti “coloristi”, che abbandonano il disegno nell’o pera a vantaggio del colore, rinunciando alla pittura; pittori a cui sono dedicate le tre sale successive (6°,7° e 8°) come Pompeo Mariani, Lorenzo Delleani, Leonardo Bazzarro, Paolo Sala, Giorgio Belloni e Francesco Filippino, tutti interessati a rendere l’effetto dell’impres sione che provano davanti al vero restituendone i valori essenziali in forma, colore e luce, attraverso pennellate rapide che creano macchie di colore.

Nella sesta sala è presentato “Il naturalismo nel paesaggio urbano tra i Navigli e il Carrobbio” attraverso la pittura di Mosè Bianchi (presente con 4 suggestive opere dipinte tra il 1886 al 1893), Emilio Gola e un giovanissimo Segantini (con 2 scorci del 1880 e del 1881 del Naviglio di San Marco, su cui si affacciava il suo studio): due lavori a metà strada tra la pittura di genere e la pittura urbana, che lasciano già presagire nella loro differente bellezza la potenza pittorica dell’artista. La settima sezione è dedicata interamente invece a Leonardo Bazzaro, che come molti dei suoi colleghi abbraccia il linguaggio del naturalismo per tutta la sua vita, mostrando la sua bravura non solo nelle opere paesaggistiche ma anche nelle opere di figura.

Nella cella del castello sono inserite cinque sue opere dipinte tra il 1900 e il 1905 nella sua residenza, dove trascorreva serenamente la via quotidiana accanto alla donna amata, protagonista di moltissime quadri immersa nel paesaggio. L’ottava sezione raccoglie invece 5 dipinti eseguiti negli anni Novanta che conducono diviene una moda, tanto da divenire oggetto sempre più frequente nelle tele anche di grande formato di diversi pittori come Lorenzo Delleani, in mostra con le opere “Ghiac ciaio di Cambrena” e “Il lago di Mucrone”(uno dei rarissimi dipinti di grande formato del pittore) che rappresenta un momento di svago delle classi alte con colazione sull’erba, tela esposta al pubblico l’ul tima volta nel 1937. Il viaggio nella pittura del paesaggio si conclude con un’ultima sezione dedicata ai pittori divisionisti, pitturi rivoluzionari della prima generazione: Segantini, Morbelli e Longoni, tutti nati negli anni Cinquanta dell’Ottocento e formatisi nel clima milanese degli anni Settanta, posti accanto ai più giovani Pelizza da Volpedo e Carlo Fornara. La sezione comprende 11 dipinti eseguiti tra il 1890 e il 1915, tra cui “Mezzogiorno sulle Alpi”, uno dei primi capolavori dipinti da Segantini, scelto anche come immagine simbolo della mostra.

Il paesaggio di Savignano, dipinto dal vero è privo di ogni riferimento specifico poiché per Segantini è il paesaggio a rappresentare la quintessenza della natura: una natura incorruttibile di cui tutti gli esseri viventi fanno parte, in cui la luce si insinua tra le immagini caricata di molti elementi spirituali, simbolici, emozionali. In sala è presente anche Angelo Morbelli con due opere dal medesimo soggetto straordinariamente messe a fianco l’una all’altra: “Nebbia domenicale” del 1890 e “Alba domenicale” eseguita 25 anni dopo, quando ormai il pittore aveva raggiunto la maturità artistica.

Non potevano mancare in questa sezione i capolavori di Pelizza da Volpedo con il suo primo lavoro divisionista “Sul fienile“ nato da una forte impressione tra luci e ombre che il pittore coglie salendo su un fienile. La luce è per lui simbolo di rigenerazione che diventa nell’opera simbolo della precarietà della vita dell’uomo e di perenne rigenerarsi della natura.

Di Pelizza sono poi esposti alla fine del percorso una serie di piccoli preziosi lavori nati nei primi anni del Novecento in cui il pittore intensifica i suoi studi sul paesaggio. Le ultime opere in mostra evidenziano come la pittura divisionista lentamente si avvia verso il simbolismo in cui il gioco di luci e ombre si fa più intenso e tutto diviene simbolo di una realtà altra.

Coronano la mostra un ricco e dettagliato catalogo curato da Mets e un programma di eventi teso a omaggiare e approfondire la figura di Pelizza da Volpedo, tra cui una mostra inaugurata durante l’estate a Volpedo da Mets in collaborazione con la Gam di Milano, con un focus su tre opere del pittore di recente scoperta e un film che uscirà nelle sale a inizio 2025 interpretato da Fabrizio Bentivoglio come approfondimento sulla vita dell’artista.

Paesaggi. Realtà, Impressione, Simbolo. Da Migliara a Pelizza da Volpedo, Castello di Novara, 01.11.2024-06.04.2025 

( 25 novembre 2024 )

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Al Castello di Novaraunamostrache è un vero e proprio viaggio nella natura, tra boschi, laghi e fiumi, dallamontagnaal mare, fino apiegarsi nel cuore degli spazi urbani milanesi, tra il Naviglio e il Carrobbio

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