Cala come una mannaia l'effetto Brexit sulle esportazioni britanniche verso l'Ue, almeno su quelle via mare: primo contraccolpo immediato a un nuovo regime di controlli amministrativi non solo penalizzante in sé, ma affrontato forse con colpevole impreparazione.
A denunciarlo sono i trasportatori isolani della Road haulage association (Rha), che riunisce l'industria del settore trasporto merci, evocando nel mese di gennaio - il primo dopo la fine della transizione post divorzio e l'entrata in vigore dell'accordo di libero scambio sulle relazioni future firmato in extremis alla vigilia di Natale da Londra e Buxelles, con corredo di norme comunque più restrittive rispetto al passato - un crollo del 68% della movimentazione portuale merci verso il continente a paragone del gennaio 2020. In una lettera inviata al ministro Michael Gove, responsabile del dossier del post Brexit, e fatta trapelare sull'Observer, domenicale del progressista Guardian, la Rha accusa il governo Johnson - che da parte sua mette apertamente in dubbio il presunto meno 68% - d'aver sottovalutato la situazione, ignorando gli allarmi sui potenziali intoppi in arrivo lanciati per tempo dagli operatori. E avverte che il peggio potrebbe ancora arrivare, tenuto conto che da luglio scatteranno pure i nuovo controlli in entrata per gli importatori, che il Regno Unito ha potuto rinviare in forza dell'introduzione di un periodo di grazia di 6 mesi. Senza contare il combinato disposto degli effetti di questa rivoluzione con gli ostacoli e i rallentamenti determinati dall'emergenza Covid, fra controlli sanitari obbligati e contrazione complessiva delle economie.
Ma le difficoltà negli scambi commerciali con la Gran Bretagna mettono in pericolo anche 3,4 miliardi di esportazioni agroalimentari made in Italy che è l'unico settore cresciuto Oltremanica nel 2020 (+2,3%) nonostante la fase recessiva provocata dalla pandemia. È l'allarme lanciato da Coldiretti proprio in riferimento alle critiche dell'industria del trasporto merci inglese contro il governo britannico. "La Gran Bretagna - si sottolinea - si classifica al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande dopo Germania, Francia e Stati Uniti. Dopo il vino, con il prosecco in testa, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono i derivati del pomodoro, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi, salumi e dell'olio d'oliva. Un flusso commerciale che rischia di essere messo a rischio dalle tensioni alle frontiere.
Rodolfo Ricci