La Bce tenta di resistere ai venti provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico, in particolare dalla Fed, e come atteso, lascia i tassi d'interesse fermi: il tasso principale resta a zero, il tasso sui depositi a -0,50% e il tasso sui prestiti marginali a 0,25%. La guerra in Ucraina - si legge in una nota - sta "influenzando pesantemente" la fiducia dell' Eurozona, e i prezzi energetici stanno riducendo la domanda e frenando la produzione. E "gli sviluppi economici dipenderanno in misura cruciale da come evolve il conflitto". Gli sviluppi inflazionistici "rinforzano la convinzione che gli acquisti di bond tramite il programma App dovranno essere conclusi nel terzo trimestre" . In ogni caso, il Consiglio della Banca centrale europea "intraprenderà qualsiasi azione necessaria per adempiere il mandato della Bce di perseguire la stabilità dei prezzi e per contribuire a preservare la stabilità finanziaria".
Le decisioni di politica monetaria della Bce "dipenderanno dai dati economici e dall'evolvere della situazione" e Francoforte "manterrà opzioni, gradualità, e flessibilità" nei mesi da qui in avanti, ha sottolineato la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde. In verita, è stata la segretaria al Tesoro Janet Yellen a gettare il sasso nello stagno, evocando timori per la possibilità di una recessione in Europa. Ben sapendo che questa volta, a differenza della grande crisi finanziaria e della pandemia, sembra proprio che non sarà la Bce a tirare l'Eurozona fuori dal guado. Sul tavolo c’erano due scenari: da una parte proprio l'allarme sollevato dalla Yellen, che riecheggia nei report degli istituti di ricerca tedeschi che evocano una "acuta" recessione con uno stop al gas russo. Dall'altra, c'è l'inflazione record (7,5% a marzo), a livelli tali da danneggiare i consumi e la crescita.
Ecco perché la Bce si ritrova all'angolo: per stimolare la crescita si può spingere sull'espansione monetaria. Ma così si alimenterebbe ulteriormente l'inflazione, colpendo la crescita. La rotta preferita dalla Lagarde è quella di lasciare alle politiche di bilancio l'onere di difendere l'economia dal caos creato da Mosca. E procedere invece a una normalizzazione monetaria: chiuso il programma pandemico di acquisti di bond, entro l'estate verrebbe terminato anche l'altro meccanismo, l'App. Poi, riportare nei mesi successivi i tassi verso zero da -0,50% attuale, verso una politica monetaria più neutrale che non soffi sul fuoco dei prezzi. Il rischio - dopo sette anni di acquisti di debito - sono eventuali fiammate degli spread.
Per questo in discussione è entratoe un 'backstop', una sorta di tetto, da rendere pubblico o tenere come opzione in caso di bisogno. Alcuni governatori ritengono che per lo spread - quello italiano viaggia a circa 160 punti base - sia sufficiente la flessibilità consentita nei reinvestimenti del programma pandemico. Per arrivare a un 'backstop' significativo, Lagarde potrebbe con il tempo dover cedere qualcosa ai governatori più 'falchi', da tempo sul piede di guerra nel chiedere una stretta. In un editoriale sul Financial Times Otmar Issing, capo economista durante i primi anni di vita della Bce, ha accusato Francoforte di "vivere nella fantasia". Prima di lui hanno tuonato Christian Sewing, Ceo di Deutsche Bank (ha definito le scelte di Francoforte "veleno") e Axel Weber, ex presidente della Bundesbank ora presidente uscente di Ubs ("incomprensibile" l'attesa della Bce). Per Lagarde, che la Bild Zeitung ha già soprannominato 'Madame Inflazione', è una rottura difficile da sostenere. Il bilancio della Bce è all'87% del Pil dell'Eurozona, oltre il doppio della Fed.
Rodolfo Ricci