Più flessibilità entro certo limiti e fermo restando un punto intoccabile: la scadenza del 2026. L'Ue, a due anni dalla sua entrata in vigore, avvia la fase due del Next Generation Ue e lo fa partendo dalla principale novità del momento: il programma RePower, adottato in via definitiva dal Consiglio Affari Generali riunito a Bruxelles. Il capitolo aggiuntivo che ciascun governo è chiamato ad inserire entro il 30 aprile nei rispettivi Pnrr innesca un effetto domino che, oltre a portare più fondi alle casse degli Stati, fornisce loro l'occasione per una revisione dei loro progetti, sebbene entro i paletti stabiliti dall'Europa. Il tema della flessibilità nell'uso dei fondi è particolarmente caro al governo. E le porte di Bruxelles non sono chiuse. Fonti qualificate che gestiscono il dossier Recovery hanno parlato di "buon senso" nel quantificare i margini di flessibilità che potranno essere concessi.
Le stesse fonti hanno anche spiegato che trasferire un progetto dal Pnrr alla programmazione 2021-2027 della politica di Coesione è possibile se ci sono impedimenti oggettivi (inflazione, o carenza di materie prime, ad esempio), al rispetto del cronoprogramma del Piano. A quel punto i fondi destinati al progetto cancellato possono essere reindirizzati, sempre nell'ambito del Pnrr. La ratio generale del Next Generation non è tuttavia cambiata. "Gli Stati membri devono applicare le scadenze che si sono impegnati a rispettare nei loro piani", ha sottolineato l'esecutivo europeo nella comunicazione approvata per fare il punto sul Recovery e nella quale viene ricordato come finora siano stati erogati 144 miliardi di euro, 96 di sovvenzioni e 48 di prestiti.
"Con la brutale invasione dell'Ucraina e una crisi energetica globale, il fondo è diventato un elemento chiave del nostro piano industriale Green Deal", è stata la chiosa di Ursula von der Leyen. Il Repower è il primo mattone del piano industriale presentato da Bruxelles. L'Ue ha confermato che sono venti i miliardi di nuove sovvenzioni previsti, 2,7 dei quali andranno all'Italia. A ciò va aggiunta la possibilità per i governi di trasferire il 5% di risorse (da usare solo per investimenti nel campo energetico) dai fondi di Coesione non spesi nel settennato 2014-20 e il 5% della Riserva di Adeguamento della Brexit. Ci sono poi 225 miliardi di prestiti che l'Ue non ha erogato con il Next Generation. Chi non ha utilizzato l'intera quota che gli spettava ha tempo fino a fine marzo per inoltrare la richiesta alla Commissione. La Spagna già lo ha fatto riducendo il tesoretto di prestiti a 141 miliardi.
L'Italia, che ha usato tutta la sua quota, potrà farlo solo dopo aver atteso le richieste degli altri membri. Il tema, ha sottolineato un alto funzionario europeo, è capire se a Paesi come l'Italia servano nuovi prestiti laddove è certamente "più importante" spendere bene e in tempo i soldi che si hanno. E l'Italia, su questo punto, un problema lo ha. Entro l'anno dovrà infatti certificare all'Ue l'impiego di venti miliardi ancora non spesi per il programma di Coesione 2014-2020. Il confronto tra l'Ue e Roma è serrato anche perché il governo è chiamato a soddisfare la richiesta di chiarimenti giunta da Bruxelles su alcuni aspetti del Pnrr, incluso il decreto sulla governance.
Rodolfo Ricci