Al via a Bruxelles, davanti ai palazzi delle istituzioni Ue, la grande marcia ’anti-status economia di mercato' alla Cina che vede insieme operai e imprenditori dei settori industriali più a rischio in Europa, in particolare l’acciaio. Secondo gli organizzatori Aegis ed Eurofer, sono circa 5mila i partecipanti da quasi una ventina di Paesi europei, di cui oltre 3.500 solo del settore siderurgico. Per l’Italia partecipa Federacciai con il presidente Antonio Gozzi e il direttore generale Flavio Bregant. A Roma intanto Fim, Fiom e Uilm In Italia hanno convocato un’assemblea pubblica presso la loro sede nazionale, in Corso Trieste, a Roma. Nell’immediato l’obiettivo dei sindacati italiani è la convocazione di un tavolo sulla siderurgia da parte del governo con tutte le parti sociali. In gioco, infatti - sottolineano le tre sigle in una nota - c’è il ruolo strategico del settore siderurgico sia sul piano occupazionale che di qualità dei prodotti e dei processi industriali e la prospettiva di costruire una qualificata e innovativa industria manifatturiera in considerazione dei processi di riorganizzazione in atto nel settore. In gioco, infatti - sottolineano le tre sigle in una nota - c’è il ruolo strategico del settore siderurgico sia sul piano occupazionale che di qualità dei prodotti e dei processi industriali e la prospettiva di costruire una qualificata e innovativa industria manifatturiera in considerazione dei processi di riorganizzazione in atto nel settore.
Ma l'allarme lanciato da imprese e sindacati a Bruxelles non riguarda solo il settore siderurgico, ma l'intero comparto manifatturiero. Ecco perché oggi nella capitale europea sfilano fianco a fianco imprenditori e sindacati di altri settori, come ad esempio quello della ceramica, delle calzature, del tessile abbigliamento, mobili, biciclette, fertilizzanti e carbone, solo per citarne alcuni. A ricordarlo in un comunicato congiunto sono Confindustria Ceramica e le segreterie nazionali di Femca Cisl e Uiltec Uil.
"Nel nostro comparto - si legge nel comunicato - due settori, piastrelle e stoviglie ceramiche, hanno chiesto ed ottenuto, dopo approfondite e documentate indagini della Commissione Europea, significativi dazi antidumping nei confronti delle importazioni di analoghi prodotti cinesi, che hanno portato ad un drastico ridimensionamento, dal momento della loro applicazione, dei volumi importati da tale Paese (- 64 % per le piastrelle e - 30 % per le stoviglie). Lo svuotamento dell’efficacia dei dazi antidumping minerebbe la possibilità di un rinnovo di queste misure, che per il settore delle piastrelle di ceramica scadono nel 2016, mettendo a repentaglio posti di lavoro in tutta l’Unione Europea e principalmente in Italia, dove il solo settore della ceramica fattura complessivamente quasi 5,7 miliardi di euro e dà impiego a oltre 25.000 persone, senza contare l’indotto".
"Non bisogna credere alle cifre della Commissione Ue" sui posti di lavoro a rischio - 211mila contro i 3,5 milioni stimati da Aegis -, rincara il portavoce di Aegis Europe Milan Nitzschke - "perchè sono calcolate in modo artificiale". "Marciamo oggi a Bruxelles", ha aggiunto Nitzschke, "in migliaia per lanciare un messaggio chiaro ai politici Ue: ’ Dite sì all’occupazione e al commercio equo, e dite no allo status di economia di mercato alla Cina".
Bruxelles, da parte sua, ha mandato fin qui messaggi contraddittori. E’ il caso ad esempio dell’apertura di tre nuovi casi antidumping nei confronti dell'acciaio cinese assieme all’imposizione di un nuovo dazio su un altro prodotto. I manufatti in acciaio finiti ora nel mirino delle indagini di Bruxelles sono i tubi non saldati, lamiere pesanti e laminati a caldo, mentre dazi antidumping provvisori sono stati introdotti oggi per i laminati a freddo sia cinesi (di 13,8%-16%) che russi (di 19,8%-26,2%). Nel frattempo però si sta valutando l’abrogazione da parte della commissione Ue delle misure antidumping contro le importazioni dalla Cina di viti, bulloni ed elementi da fissaggio in acciaio. Duro il commento di Licia Mattioli, presidente del comitato tecnico per l'internazionalizzazione di Confindustria: “Siamo amareggiati per una vicenda che dimostra l'inadeguatezza dell'Europa a gestire materie che sono vitali per l'industria, la crescita e l'occupazione. A causa di errori procedurali della Commissione - spiega Mattioli - le imprese italiane rischiano di trovarsi improvvisamente senza la protezione dei dazi in un settore in cui siamo secondi solo alla Germania e che in Europa conta un fatturato di circa 2miliardi di euro, 230 aziende, 7.500 addetti, di cui 4.500 in Italia, e una filiera che arriva a oltre 23.000 unità. Non solo, rischiamo anche di passare dal danno alla beffa: la Cina, infatti, per pure ragioni formali ha contestato le misure presso la Wto ottenendo ragione e, qualora la Ue fosse inadempiente, si starebbe preparando a chiedere un risarcimento tra 800 milioni e 1 miliardo di euro. Vogliamo credere alla buona fede dei tecnici di Bruxelles - conclude - ma chiediamo che correggano gli errori e si impegnino a riaprire una nuova procedura che ripristini al più presto i legittimi dazi”.
Bruxelles, però, ha già messo le mani avanti lanciando la seguente consultazione che resterà aperta per le prossime 10 settimane: “Quale futuro per i dazi antidumping sui prodotti cinesi, se dovesse essere concesso lo status di economia di mercato alla Cina”. La domanda, rivolta agli attori economici interessati, è “se”, e “se sì come, l'Ue debba cambiare il trattamento della Cina come economia di mercato nelle sue indagini antidumping dopo dicembre 2016". Gli 'stakeholder' sono invitati a esprimere la loro opinione sulle "varie opzioni" al momento al vaglio della Commissione.
Tre le possibilità, secondo Bruxelles: mantenere immutati i dazi ma col rischio di sanzioni da parte del Wto, eliminare completamente i dazi, ma col rischio di perdere fino a 211mila posti di lavoro (ma secondo le stime dell’ssociazione Aegis che raggruppa una trentina di settori industriali a rischio sarebbero, in realtà, fino a 3,5 milioni di posti di lavoro, ndr), oppure eliminarli in modo parziale, introducendo misure di salvaguardia che potrebbero almeno dimezzare le perdite occupazionali.
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