I ministri del lavoro dell’Unione europea hanno unanimemente riconosciuto l’istituzione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Il Consiglio è dunque pronto a firmare il testo insieme a Commissione e Parlamento nel summit sociale di Göteborg, previsto per il prossimo 17 novembre. “Globalizzazione, digitalizzazione e altri cambiamenti del mondo del lavoro rendono necessaria una riforma dei nostri sistemi sociali”, afferma il presidente di turno del Consiglio, il ministro estone del lavoro Jevgeni Ossinovski, “che assicuri uguaglianza, equità e sostegno ai più vulnerabili”. Per la Ces si tratta “della cosa giusta”, soprattutto perché i ministri competenti hanno messo da parte ciò che li divide per valorizzare ciò che li unisce. “Ma dopo la firma”, avverte la segretaria confederale Ester Lynch, “occorre mettere in pratica gli impegni, perché i lavoratori in ogni angolo d’Europa si aspettano novità importanti, per esempio su congedi parentali e di cura, più sicurezza sul lavoro, migliori condizioni contrattuali e un’Autorità Ue del lavoro”. Commissione e Parlamento, ricorda la Ces, hanno a disposizione solo 18 mesi, prima delle prossime elezioni europee, per lasciare una traccia importante in questa legislatura.
C’è delusione, invece, all’interno della Ces, in merito all’accordo del Consiglio sulla riforma della direttiva sui lavoratori distaccati, che registra il voto contrario di Polonia, Ungheria, Lituania e Lettonia, e l’astensione di Regno Unito, Irlanda e Croazia. “Stesso salario per lo stesso lavoro nello stesso Paese”, esulta con un tweet la commissaria Ue all’occupazione, Marianne Thyssen, ma a Boulevard Roi Albert II, non la pensano proprio così e puntano tutto sull’assemblea di Strasburgo. Ora, afferma la segretaria confederale Lina Carr, dipende dalla capacità negoziale e dalla determinazione Parlamento europeo, per provare a rimediare a un mezzo disastro. L’accordo raggiunto tra i ministri del lavoro, infatti, fa notare il sindacato europeo, contiene almeno 5 elementi di forte preoccupazione: esclude gli autotrasportatori dalla riforma della direttiva fino a quando non verrà trovato un accordo sul pacchetto Ue mobilità per il trasporto su strada; non riconosce molti tipi di contratti collettivi; non dà sufficienti garanzie sull’effettivo pagamento delle diarie; non include una vera base giuridica per rendere la riforma della direttiva uno strumento per la protezione dei lavoratori; consente un periodo “inusuale” di 3 anni per recepire la nuova direttiva nel settore dei trasporti. Altro che “regole più severe contro il dumping sociale”, come ha twittato il ministro belga Peeters. La partita sembra ancora apertissima.
(Articolo completo di Pierpaolo Arzilla domani su Conquiste Tabloid)