Ancora bambini al lavoro nelle fabbriche. Ancora una volta accade in Turchia. Di denunce negli anni ce ne sono state molte da parte di Ong e da parte della stessa Ilo. In Turchia la legge che vieta di far lavorare i minori di 14 anni c’è. Ma non viene rispettata. Ma ora c’è di più: l’ammissione da parte del colosso della moda a basso costo svedese H&M di aver identificato bambini siriani tra i lavoratori impiegati nelle fabbriche di un fornitore in Turchia. La catena di abbigliamento internazionale e il brand Next sono stati gli unici ad ammettere che minori rifugiati vengano impiegati negli stabilimenti in Turchia, scrive Independent, ma lo scandalo potrebbe riguardare molte altre compagnie del settore. In Turchia si trova uno dei principali poli di produzione di articoli di abbigliamento per le grandi catene internazionali, insieme a quelli di Cina, Cambodia e Bangladesh. I fornitori turchi producono anche per marchi di diverse fasce come Burberry, Adidas, Marks & Spencer, Topshop e Asos. Il Paese è nello stesso tempo quello dove si trova il maggior numero di rifugiati siriani, più di 2,5 milioni, in fuga dal conflitto iniziato nel 2011.Un report della ong Human Rights Resource Centre (BHRRC), citato da Independent, ha sottolineato che pochi brand stanno prendendo le misure adeguate per garantire che i rifugiati "non stiamo scappando da un conflitto" per cadere "in condizioni di sfruttamento lavorativo". Centinaia di migliaia di siriani adulti lavorano in Turchia per paghe molto al di sotto del salario minimo che ammonta a circa 95,7 euro al mese. Bhrrc ha chiesto il mese scorso a 28 grandi marchi informazioni circa i loro fornitori in Turchia e la loro strategia per combattere lo sfruttamento minorile e del lavoro adulto. H&M e Next sono stati gli unici a rivelare di aver identificato minori nelle loro fabbriche nel corso del 2015 e di aver preso le dovute contromisure consentendo ai minori, di cui non è stata specificata l'età, di poter tornare a studiare e di aver dato un sostegno alle loro famiglie. Primark e C&A hanno ammesso di aver identificato siriani adulti tra i lavoratori dei loro fornitori. Adidas, Burberry, Nike e Puma hanno dichiarato di non aver nessun siriano tra i lavoratori delle proprie catene di produzione. Stessa risposta data da Arcadia Group, che detiene i brand Topshop, Dorothy Perkins e Burton Menswear. Mark & Spencer, Asos, Debenhams e Superdry non hanno risposto alla domanda. GAP, New Look e River Island devono ancora rispondere all'intero questionario.
(Approfondimento domani su Conquiste Tabloid)