Il ventitresimo giorno di sciopero dei ferrovieri francesi ha dato il là a quelle che potrebbero essere due settimane decisive per la riforma della Sncf, fortemente voluta dal presidente Macron. Una protesta che non è sembrata affievolirsi nemmeno dopo che il premier Edouard Philippe, venerdì scorso, ha annunciato che dei 35 miliardi di euro di debiti dell’azienda ferroviaria si sarebbe fatto carico lo Stato, di fatto smentendo quanto aveva dichiarato nel presentare la riforma.
Eppure lo sciopero continua. Nessuno dei quattro sindacati (Cgt, Unsa, Sud e Cfdt) ha finora manifestato l’intenzione di retrocedere dalla lotta dura, a partire dalle organizzazioni solitamente più dialoganti - Cfdt-Cheminot e Unsa-Ferroviaire - e inclini a trovare un terreno di contrattazione durante i conflitti sociali.
"La Cfdt non ha intenzione di allentare la pressione" prima della fine del dibattito parlamentare sulla riforma delle ferrovie, ha spiegato il suo leader, Lawrence Berger, in un'intervista pubblicata domenica su Le Monde. Per Berger l’obiettivo resta quello di uscire dal conflitto il più rapidamente possibile. "Ma non a qualunque prezzo per i lavoratori e per il trasporto ferroviario", ha aggiunto.
Ecco perché tra domani (giorno d’inizio dell’esame del provvedimento al Senato) ed il prossimo 5 giugno (giorno della votazione) fino al momento in cui si riunirà la commissione paritetica, il prossimo 13 giugno, “la mobilitazione continua”.
Una scelta che, però, comporta un rischio: quello di accentuare una rottura tra i ferrovieri e il resto dei loro concittadini, esasperati dal caos dei trasporti. La recente consultazione sindacale interna alla Sncf, infatti, ha evidenziato come circa i due terzi dei ferrovieri siano mobilitati contro la riforma, a fronte dei sondaggi che indicano che una parte esattamente opposta dei francesi la sostiene.
( Approfondimento domani su Conquiste Tabloid )