Dopo la raffica di 'no' dei Paesi europei ad aprire i propri porti alle navi che trasportano i migranti, c’è poco da aspettarsi per l’Italia dal vertice di Tallin, in termini di risposta alla crisi imigratoria e all'emergenza sbarchi sulle nostre coste. Eppure qualche passo avanti, ancorché timido, ci sarà: intanto dovrebbe essere avallato politicamente, con l'accordo dei ministri dei Ventotto, il “Piano d'azione” che la Commissione europea ha presentato martedì a Strasburgo. E poi c'è la constatazione che sulla crisi migratoria gli Stati membri, divisi e incapaci di solidarietà vera nei confronti dell'Italia con una condivisione degli oneri "all'interno" dell'Ue, sono almeno uniti e sempre più convinti sulla strategia esterna per affrontare il fenomeno e ridurre i flussi: con iniziative come il training e il rafforzamento della guardia costiera libica, gli accordi di cooperazione e di riammissione con i paesi di origine e di transito, gli incentivi a Tunisia e Libia per convincerli a creare delle proprie zone di ricerca e soccorso in mare.
Il codice di condotta per le Ong a cui sta lavorando il governo italiano - e che non sarà pronto per la riunione di Tallin, ma potrà essere illustrato a grandi linee ai ministri dell'Ue - prevede una serie di condizioni che le navi impegnate nella ricerca e soccorso in mare dovranno rispettare per poter attraccare nei porti italiani. Sarà vietato alle Ong fare segnali luminosi verso la costa, telefonare ai migranti in partenza per prendere accordi, spegnere il transponder che segnala la posizione in mare visibile ai mezzi di Frontex; e sarà obbligatorio prendere a bordo gli ufficiali di polizia giudiziaria che conducono inchieste sui trafficanti.