Così come per la Brexit, anche in Spagna la scelta la fanno i fragili: i poveri, i vecchi, gli ignoranti, è stato detto. Coloro che in un mondo globalizzato i cui conta competere non sono una risorsa ma un peso. Questo è. E ora possiamo anche prendercela con una finanza rapace e un’Europa di burocrati. Ma la verità è che la politica non è stata all’altezza di misurarsi con le nuove sfide poste dalla globalizzazione e dare una risposta a quella fetta di umanità, sempre più ampia, che ne è stata travolta. Gli spagnoli, dunque, (i vecchi molto più che i giovani, ma del resto il Vecchio Continente è sempre più vecchio) hanno preferito l’usato sicuro, rappresentato dal premier uscente Mariano Rajoy piuttosto che l’incognita Podemos, decisamente spostata a sinistra. Fra colpi di scena, dopo la pubblicazione di un disastroso exit-poll che dava il partito post-indignado davanti al Psoe e il suo leader Pablo Iglesias in buona posizione per candidarsi a premier di un governo di sinistra, i risultati reali mano a mano hanno rovesciato il quadro politico.
Resta un dato su cui anche l’Italia è chiama a riflettere: le seconde elezioni politiche spagnole in sei mesi non hanno sciolto il rebus sulla formula di Governo. I popolari di Rajoy hanno 137 seggi su 350. Rajoy vorrebbe governare e non esclude alcuna ipotesi, neppure quella di un'alleanza con Ciudadanos (32 seggi), baschi (5 seggi) e il deputato della Coalicion delle Canarie. Questa ipotetica coalizione conterebbe 175 seggi, solo uno in meno della maggioranza richiesta. Podemos con Izquierda Unita può contare su 171 seggi. Insomma, il quadro rimane complesso e assai frastagliato. I quattro leader in campagna hanno detto di essere determinati ad evitare un nuovo ritorno alle urne. Le trattative però si annunciano difficili. E un terzo scrutinio, fra tre o quattro mesi, non appare impossibile.
(Approfondimento domani su Conquiste Tabloid)