La riforma del Patto di stabilità è un passo avanti ma non tiene conto della necessità per i Paesi Ue di scorporare da debito e deficit di tutta quella gamma di investimenti e spese che stanno segnando l'Europa degli ultimi mesi e che Bruxelles stessa ritiene necessari. È in questo assunto che si concentrano, di fatto, le non poche perplessità del governo italiano rispetto alla nuova governance economica delineata dalla Commissione. La salvaguardia dello 0,5% decisa per andare incontro alle richieste dei 'frugali', comunque, è risultata alla fine però ben diversa dai criteri draconiani chiesti dai tedeschi. Berlino così già boccia la riforma aprendo però a una "trattativa costruttiva". "Le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le esigenze della Germania", tuona il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. "Accetteremo - ha ribadito - solo regole che consentano un percorso affidabile verso la riduzione del debito e la stabilità delle finanze pubbliche".
Più positiva la reazione dei Paesi Bassi, dove però il governo fa sapere di volere che "le nuove regole portino a una riduzione ambiziosa del debito e a una maggiore sostenibilità del debito per i Paesi altamente indebitati". La Francia per parte sua non guarderebbe con favore a regole automatiche di riduzione di deficit e debito. Perplessità che, probabilmente, emergeranno già ad una riunione dei ministri delle Finanze europei a Stoccolma, che per l'Italia si preannuncia già caldissima su un fronte, innanzitutto: quello del Mes. L'Europa, sulla mancata ratifica, sta finendo la pazienza ma Palazzo Chigi tiene il punto. Il Mes va aggiornato e trasformato in veicolo per la crescita, hanno sottolineato fonti di governo.
Da qui all'estate, la dialettica tra l'esecutivo europeo e Roma si prospetta intensissima. Tradotto: se il nuovo Patto di Stabilità non prevede alcuna 'golden rule' (ovvero la regola che calcola con una diversa contabilità determinate categorie di investimenti) i Paesi membri ad elevato debito saranno chiamati a concentrarsi solo su quegli investimenti che portano ad un calo del deficit e del debito rispetto al Pil. Con il rischio, quindi, di deviare dalle priorità che, attraverso il Next Generation, l'Ue ha impresso nei Pnrr dei Paesi membri. Da un punto di vista prettamente numerico, invece, qualsiasi simulazione delle correzioni a cui potrebbe andare incontro l'Italia va presa con la prudenza necessaria. E distinguendo il percorso di rientro dal debito standard, quadriennale, da quello di sette anni, che certamente più si adegua all'Italia.
Nel primo caso per Roma si prospetterebbe una correzione dello 0,85% del Pil (14-15 miliardi), nel secondo dello 0,45%, ovvero un range che, secondo i primissimi calcoli che circolano in queste ore, va dai 6 agli 8,5 miliardi. Fonti europee sottolineano come si tratti di cifre legate alla cosiddetta traiettoria tecnica, che è solo "il punto di partenza" delle discussioni che avranno singoli Paesi e Commissione sui piani pluriennali di rientro del debito e riforme.
Rodolfo Ricci