“I detenuti della prigione cinese di Yingshan, nel Guangxi, lavorano 14 ore al giorno senza alcuna pausa, sono costretti a fare gli straordinari fino a mezzanotte e chiunque non finisce il proprio lavoro viene picchiato”. Con questa frase inizia il messaggio rinvenuto da un cliente di Walmart di Sierra Vista, in Arizona. Un biglietto, scritto in cinese e ripiegato all'interno di un portafoglio, che l'acquirente ha immediatamente pubblicato sui social per chiedere l'aiuto di un traduttore. Il caso ha però attirato l'attenzione dei media che hanno loro stessi tradotto il messaggio e denunciato il drammatico contenuto. Il messaggio contiene ulteriori dettagli sui pasti scadenti, sulle basse remunerazioni percepite e sulle condizioni dei lavoratori, trattati “peggio di un cane o di un maiale”. Di fronte all'inaspettata esposizione mediatica, Walmart si è impegnata ad effettuare ulteriori indagini e a reclamare i più alti standard produttivi ai propri fornitori. Un'impresa non facile considerando che Walmart conta oltre 100 mila fornitori in Cina da cui i sindacati indipendenti, che potrebbero contribuire a garantire il rispetto delle leggi e quindi condizioni di lavoro decenti, sono sistematicamente banditi.
In assenza di contrattazione collettiva, la tensione è dunque destinata a crescere, come dimostrano i recenti dati divulgati dal China Labour Bullettin (Clb) sulle vertenze intentate dai lavoratori presso il ministero delle Risorse Umane. Le richieste di arbitrato continuano ad aumentare anno dopo anno: nel 2016, le denunce hanno toccato il numero record di 1,77 milioni. Un livello di conflitto altissimo che rischia di paralizzare il ministero competente e che potrebbe indurre Pechino a riformare l'intero sistema delle dispute attraverso un potenziamento del ruolo del sindacato ufficiale Acftu. Una soluzione parziale, secondo il Clb che individua in una riforma radicale del sistema sindacale cinese l'unica risposta al malcontento dei lavoratori: il numero crescente di vertenze, rileva il Clb, è il risultato del malcontento dei lavoratori alimentato, a sua volta, dalla mancanza di sindacati realmente rappresentativi.
Nessuna voce sul luogo di lavoro per i lavoratori, dunque, che sono costretti a ricorrere a sistemi di comunicazione alternativi, come i social media o, come visto, biglietti nascosti nei prodotti assemblati nelle fabbriche o nelle prigioni cinesi.
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