Ormai il 'rematch' è ufficiale: salvo imprevisti, il 5 novembre sarà ancora sfida tra Joe Biden e Donald Trump, la settima rivincita presidenziale nella storia Usa e la prima dal 1956, quando Dwight D. Eisenhower sconfisse Adlai Stevenson. Entrambi infatti sono diventati 'presumptive nominee', candidati presunti dei rispettivi partiti, dopo aver conquistato nel mini Super Tuesday la metà dei delegati necessari per rivendicare la nomination: il presidente è stato il primo a superare il quorum di 1968 delegati nelle primarie in Georgia, il suo predecessore ha dovuto attendere anche i risultati del Mississippi e dello stato di Washington per varcare la soglia fatidica di 1215 delegati.
Per essere formalmente incoronati dovranno attendere le convention estive ma nulla può più fermarli, tranne problemi di salute o, nel caso di Trump, guai giudiziari. Martedì i due rivali hanno vinto ancora a valanga, Biden sconfiggendo la scrittrice Marianne Williamson, mentre il tycoon non ha più alcun avversario interno. Ma Nikki Haley, pur essendosi ritirata dalla corsa, continua a catalizzare uno zoccolo duro anti Trump che potrebbe essere decisivo in Stati in bilico come la Georgia, dove ha riscosso più del 13%, pari a oltre 77 mila voti.
L'ex presidente è in vantaggio su Biden nel Peach State, ma nel 2020 l'ha perso per sole 11.779 preferenze. La sua sfida adesso è quella di conquistare gli elettori dell'ex ambasciatrice all'Onu per cementare quell'unità del partito che continua a vantare ma che per ora persegue solo a colpi di purghe dopo aver piazzato i suoi fedelissimi al vertice.
Biden invece è uscito dall'ultima tornata di primarie confortato dall'attenuarsi della protesta araba per Gaza, che nello stato di Washington si è fermata al 7,5% (uncommitted, non impegnati). Il leader dem, volato in Wisconsin (altro swing state cruciale), si è detto "onorato" che gli elettori gli abbiano già assicurato la nomination "in un momento in cui la minaccia rappresentata da Trump è più grande che mai: ora gli elettori possono scegliere riguardo al futuro di questo Paese, lottando per difendere la nostra democrazia o lasciando che altri la demoliscano".
Anche The Donald ha esultato per il traguardo e ha ricambiato le accuse contro "il presidente più incompetente, corrotto e distruttivo nella storia degli Stati Uniti", diventati una "nazione del terzo mondo, con un'economia pessima" e un'invasione di milioni di persone, molte provenienti da carceri e manicomi di altri Paesi". Il tycoon ha avuto un altro motivo per gioire, almeno in parte: il giudice Scott McAfee ha infatti archiviato sei capi d'imputazione nel procedimento in Georgia contro di lui e altri co-imputati per i loro tentativi di sovvertire il voto in quello Stato, sostenendo che le accuse secondo cui l'ex presidente e suoi alleati avrebbero cercato di convincere i funzionari a violare i loro giuramenti non sono sufficientemente dettagliate. Tra queste anche la famigerata telefonata all'allora segretario di Stato (repubblicano) della Georgia Brad Raffensperger per "trovare 11.780 voti" e ribaltare l'esito delle elezioni nel Peach State. Il giudice ha confermato il resto delle accuse e ha precisato che i procuratori possono perseguire una nuova incriminazione per quelli cassati.
Ma si tratta comunque di una decisione imbarazzante per la procuratrice Fani Willis, che peraltro rischia di essere rimossa dal caso per il presunto conflitto di interessi nella sua relazione clandestina con il collega ingaggiato nelle indagini. Trump al momento è in testa sia nei sondaggi a livello nazionale (+2,4% secondo la media di RealClearPolitics) che in quelli negli Stati battleground (la media è +4%), tranne la Pennsylvania. Ma è indietro nella raccolta fondi e deve fronteggiare vari processi: il primo è il 25 marzo a New York per il caso della pornostar Stormy Daniels. Per entrambi i frontrunner c'è inoltre l'incognita dei candidati indipendenti.
Ma i sondaggi risultano ancora incerti, sia perchè la sfida si concretizzerà a novembre, sia per i differenti metodi di rilevazione statistica adottati in tutti gli Stati federali. Infatti, questa è la riprova, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe invece un vantaggio di un punto percentuale sul rivale Donald Trump. A riportarlo è stata l’agenzia Reuters, che ha condotto il sondaggio. Circa il 39% degli elettori registrati coinvolti nell’indagine ha dichiarato che voterebbe per Biden se le elezioni si tenessero oggi, rispetto al 38% che opterebbe per l’ex titolare della Casa Bianca, Trump.
Rodolfo Ricci