C'è l'avvertimento della Bundesbank, occorre agire subito contro l'inflazione che corre a più del 5%, farlo dopo costerà molto di più. E c'è il ragionamento, più prudente, di Isabel Schnabel, che ribadisce la linea "graduale" nell'eventuale rialzo dei tassi, ma spiega anche le ragioni di un'eventuale stretta da parte della Bce. Dopo l'uscita della 'colomba' francese nel Consiglio Bce, Francois Villeroy de Galhau, secondo cui i mercati nel prezzare due rialzi dei tassi nel 2022 hanno fatto il paso più lungo della gamba, oraai tocca ai 'falchi'. Lo è il presidente della 'Buba', Joachim Nagel, che ha fatto presente la stima della banca centrale per un'inflazione in Germania oltre il 4% in media d'anno nel 2022. Il doppio dell'obiettivo consacrato nei trattati. E ha preannunciato: "Se il quadro non dovesse cambiare entro marzo mi pronuncerò per normalizzare la politica monetaria", perché "i costi economici sono decisamente più alti, se si agisce troppo tardi, piuttosto che se si agisce tempestivamente".
Non è il solo a pensarlo: anche economisti di tutt'altra cultura, come Mohamed El-Erian, ora in Allianz dopo aver guidato per anni il colosso dei bond Pimco, pensano che la Bce e la Fed siano in grande ritardo rischiando di dover prendere misure tanto più draconiane quanto più tempo passa. Schnabel, consigliera della Bce tedesca ma tutt'altro che ortodossa, ribadisce la prudenza (vedremo con le stime di marzo, ogni mossa sarà graduale) della presidente Christine Lagarde. Ma ci tiene anche a chiarire alcuni punti: è vero che oltre metà dell'inflazione è dovuta ai prezzi energetici. Ma non esclusivamente per 'strozzature' all'offertà di gas o petrolio, si deve anche allo stimolo (specie Usa) alla domanda che ha spinto la ripresa oltre le attese.
E se un rialzo dei prezzi energetici innesca rincari generalizzati, finendo per disancorare le aspettative future d'inflazione, occorre alzare i tassi. Il dibattito è aperto, ma la stretta è innegabilmente sul tavolo. Anche perchè dall’altra parte dell’Atlantico l'inflazione americana corre e a gennaio segna un aumento del 7,5%, volando ai massimi dal febbraio 1982. Una galoppata destinata a proseguire nei prossimi mesi, quando i prezzi sono attesi registrare nuovi record. Per la Casa Bianca di Joe Biden la volata è una doccia fredda che fa temere per la tenuta della ripresa economica: la corsa infatti erode il potere di acquisto degli americani - in media di 250 dollari al mese -, oltre a mettere a rischio l'incerto futuro del piano economico da 2.000 miliardi fortemente voluto dal presidente ma già bocciato dal Senato. "Le attese sono per un allentamento dell'inflazione per la fine del 2022", afferma Biden assicurando l' impegno dell' amministrazione a combattere per "vincere la sfida dei prezzi".
Pur ostentando ottimismo il presidente americano è consapevole dei rischi politici della fiammata dei prezzi, soprattutto in vista delle elezioni di metà mandato e delle sue difficoltà nei sondaggi. Gli americani infatti gli attribuiscono la colpa del carovita, mentre per i repubblicani la corsa dell'inflazione è una prova del fallimento delle politiche economiche dei democratici. Anche se in presenza di una crescita forte, di un mercato del lavoro che avanza e di un aumento dei salari, il caroprezzi - è la tesi dei conservatori - si mangia i guadagni e lascia gli americani con i portafogli svuotati. Dietro al +7,5% dei prezzi in gennaio, l'aumento maggiore da 40 anni, si cela una corsa generalizzata che va al di là dei soli settori più colpiti dalla pandemia. I prezzi delle auto usate sono schizzati del 40,5% rispetto a gennaio dello scorso anno, mentre quelli degli alimentari hanno segnato un aumento del 7%, spingendo al rialzo i prezzi dei ristoranti e dei fast-food, rincarati dell' 8%. I prezzi dell'energia sono invece saliti dello 0,9% rispetto a dicembre e del 27% su base annua. La lotta all'inflazione della Casa Bianca si intreccia con quella della Fed. La fiammata dei prezzi aumenta la pressione sulla banca centrale per un intervento più drastico del previsto. Gli analisti ormai stimano almeno sei rialzi dei tassi di interesse quest'anno, e non escludono che in marzo il ritocco al rialzo possa essere di mezzo punto percentuale. Ipotesi confermata dal presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, che si è detto favorevole a un rialzo di mezzo punto, il primo dal 2000, così da alzare il costo del denaro di 100 punti base entro luglio.
Rodolfo Ricci