Avevano ottenuto quello che chiedevano: un aumento dei salari minimi nell’industria dell’abbigliamento. E invece, al termine di due mesi di proteste - tra dicembre e gennaio scorsi - è arrivata la controffensiva delle imprese con migliaia di licenziamenti. Accade in Bangladesh, dove l’industria tessile muove un giro d’affari di circa 30 miliardi di dollari e dà lavoro ad almeno 4,1 milioni di persone. I dipendenti delle industrie manifatturiere protestavano per gli aumenti salariali concessi ai neo-assunti. Con una decisione entrata in vigore a fine dicembre, lo stipendio mensile saliva da 5.300 a 8mila taka (da 52 a 82 euro) per i dipendenti del 7mo livello, mentre per i lavoratori con un’anzianità di 7-8 anni l’aumento era solo di 500 taka (cinque euro). A metà gennaio i datori hanno concesso lo stesso aumento a tutti i tipi di contratto. Al rientro in fabbrica, però, la sorpresa: diversi posti di lavoro erano stati eliminati. Secondo una stima fornita dal IndustriAll Bangladesh Council (IBC), l'organismo nazionale di coordinamento degli affiliati di IndustriALL Global Union, oltre 11.600 lavoratori hanno perso il lavoro. Molti di loro, in particolare i lavoratori con le qualifiche più elevate, sono stati costretti a dimettersi con la forza, per evitare alle imprese di pagare salari più alti e maggiori contributi per la sicurezza sociale. Come se non bastasse, i datori di lavoro e la polizia hanno presentato cause contro oltre 3.000 lavoratori non identificati mentre sono una settantina quelli già arrestati, alcuni dei quali rilasciati su cauzione. Dura la presa di posizione della federazione mondiale dei sindacati dell'industria che chiama in causa le multinazionali del settore per le quali le imprese del Bangladesh lavorano: H & M, Inditex, Mango, Next, Marks & Spencer, Puma e molti altri. "Gli imprenditori e le griffe - avverte Valter Sanchez, numero uno di IndustriAll - devono smetterla di creare un clima di paura tra i lavoratori e dare vita ad un ambiente di lavoro rispettoso del diritto dei dipendenti alla libertà di associazione e all'effettivo riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva".