Sottolinea il segretario generale Bomabardieri: ”La parola d'ordine è rinnovare i contratti per quegli 8 milioni di lavoratori in attesa da oltre 7 anni. E per incentivare la contrattazione una leva potrebbe essere quella di detassare gli aumenti salariali sul primo livello e di azzerare il peso del fisco sui premi di risultato”. Inoltre ”serve allargare la discussione sulla produttività delle aziende e sulla produttività di contesto”.
Da parte sua, il leader della Cgil Landini osserva che la contrattazione aziendale ”non copre più del 20/30% dei lavoratori italiani perché ci sono molte piccole e piccolissime imprese”. A giudizio di Landini ”di fronte alla diminuzione dei salari e all’aumento della precarietà che non uguali in Europa, il salario minimo serve e bisogna garantire ai lavoratori tutti i diritti previsti dai contratti”.
Di diverso avviso il segretario generale della Cisl Sbarra, che sottolinea: ”La via non è quella di un intervento unilaterale da parte del legislatore, non quella di automatismi salariali che genererebbero nuova inflazione con una esiziale rincorsa tra salari e prezzi. Né quella di un salario minimo che non tenga conto delle retribuzioni applicate nei contratti maggiormente rappresentativi in ogni settore”. Invece ”bisogna elevare i redditi da lavoro e pensione oltre l’inflazione ed in modo strutturale. E per farlo non c'è che una strada: crescere di più e riallocare la ricchezza, attraverso un grande accordo di responsabilità nel solco del metodo Ciampi del 1993. Per Sbarra inoltre ”"non servono leggi sulla rappresentanza, ma il riconoscimento e la valorizzazione di contratti che vanno rinnovati ed innovati, estesi soprattutto nel secondo livello, specialmente al Sud e tra le piccole e medie imprese. Contratti i cui frutti vanno coraggiosamente detassati, per stimolare accordi di produttività e welfare negoziato”.
Giampiero Guadagni