Come nel gioco dell’oca: quando pensi di essere arrivato in fondo, basta un tiro di dadi e si ritorna al via. Così la Tav: dopo trent’anni di progetti e revisioni dei medesimi, accordi e ricorsi contro gli stessi, siamo al punto di partenza. Il ministro delle infrastrutture, Danilo Toninelli, intervenendo oggi al Senato, l’ha detto bello chiaro: "Non vi è alcuna ragione per la quale l'Italia, a prescindere dell'esito dell'analogo lavoro svolto in Francia, in applicazione del programma concordato dall'attuale maggioranza parlamentare, non ridiscuta integralmente il progetto" della Tav Torino-Lione, pur "all'esito di una nuova valutazione complessiva di costi e benefici". Il ministro è tranquillo: "I timori paventati riguardo ai possibili effetti negativi che potrebbero derivare da questo programma di elementare razionalità non hanno alcun fondamento". Non così la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, che in una lettera aperta pubblicata oggi sul Messaggero, ai promotori del reddito di cittadinanaza, ricorda che il lavoro viene dagli investimenti in infrastrutture e innovazione. "Non sappiamo - scrive la leader di Via Po - se la strada giusta sulla Tav sia quella del referendum proposto dal governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino. Sappiamo che sarebbe una sciagura pagare miliardi di euro di penali e mettere a rischio migliaia di posti di lavoro e la sussistenza di tante famiglie, per arrestare un progetto infrastrutturale come la Tav che è già in fase avanzata da alcuni anni anche in Francia".
I dati forniti dallo stesso ministero delle Infrastrutture, del resto, sono impietosi: 670 opere pubbliche incompiute e cantieri fermi a vario titolo per un valore complessivo di 21 miliardi, mentre si stimano in 330mila i posti di lavoro e in 75 miliardi di euro le ricadute che lo sblocco di queste opere pubbliche produrrebbero sull'economia nazionale. Una visione della crescita che, secondo Furlan - nell’azione di governo finora è mancata. "Le vicende della Tav o del gasdotto in Puglia - aggiunge - sono emblematiche soprattutto per il segnale che stiamo lanciando agli investitori stranieri che ancora producono in Italia o avrebbero intenzione di farlo”. Di questo, secondo la leader di Via Po, bisognerebbe discutere con le parti sociali, tornando alla pratica della concertazione.
(Approfondimento domani su Conquiste Tabloid)