La spending review acquisce il divario tra il Nord ed il Sud del Paese. È quanto emerge dallo studio SVIMEZ “Spending review e divari regionali in Italia” di Adriano Giannola, Riccardo Padovani e Carmelo Petraglia che sarà pubblicato sul prossimo numero della rivista “Economia Pubblica – The Italian Journal of Public Economics”.
In base allo studio, nel 2015 il taglio della spesa pubblica in % del Pil sarà del 6,2% al Sud, più del doppio del Centro-Nord (-2,9%). Giù anche la spesa in conto capitale: -2,1% contro -0,8% del Centro-Nord, con un effetto depressivo sull’economia del Mezzogiorno e un ampliamento dei divari regionali.
Un quadro che preoccupa la Cisl che, per voce del segretario confederale Giuseppe Farina, sollecita il Governo ha rimettere al centro dell'azione politica la questione meridionale (ascolta la dichiarazione audio rilasciata a Labor Tv).
Condotto su elaborazioni SVIMEZ di dati della Commissione europea, del Ministero dello Sviluppo economico e presentati in vari documenti governativi, lo studio analizza gli effetti dei tagli operati con la “spending review” e delle manovre degli ultimi anni sull’andamento dell’economia delle due macroaree. Nel 2013-2015 tagli alla spesa doppi al Sud rispetto al Centro-Nord – Negli ultimi anni i tagli alle spese operati dai vari Governi hanno inciso molto più al Sud che al Centro-Nord.
Il taglio alla spesa penalizza il Sud soprattutto per quanto riguarda gli investimenti pubblici, la componente della spesa pubblica più colpita, e una delle componenti di domanda in grado di stimolare la ripresa nell’economia meridionale. La spesa pubblica in conto capitale ha registrato al Sud riduzioni da due a tre volte in più rispetto al Centro-Nord: -1,6% nel 2013 contro il -0,5% del Centro-Nord; nel 2014 -1,9% contro -0,7% dell’altra ripartizione, arrivando nel 2015 a -2,1% al Sud contro -0,8% del Centro-Nord.
Non va meglio nel lungo periodo. In dieci anni, dal 2001 al 2012, la spesa in conto capitale per le aree sottoutilizzate, fondamentale per le azioni di riequilibrio territoriale, al Sud è scesa del 58%, passando da 16,5 a 6,9 miliardi di euro; al Centro-Nord è scesa nello stesso periodo del 10%, calando da 3,7 a 3,3 miliardi di euro. In altri termini, i 791 euro che ogni cittadino del Mezzogiorno riceveva nel 2001 sono scesi nel 2012 a 334, mentre i 99 euro destinati pro capite alle aree sottoutilizzate del Centro-Nord sono diventati 85 undici anni dopo.
Secondo stime Svimez, inoltre, le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari Governi (il cui valore cumulato arriva a oltre 109 miliardi di euro nel 2014) in rapporto al Pil sono pesate più nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord. In particolare, il peso cumulato delle manovre sul Pil per il 2013 sarebbe del 6% a livello nazionale, ma assai differente a livello territoriale: 5,5% nelle regioni centro settentrionali e 7,8% in quelle meridionali. Stesse dinamiche negli anni successivi: per il 2014 l’impatto sul Pil è stimato al 6,5% quale risultato del 5,9% al Centro-Nord e dell’8,7% al Sud. L’impatto delle manovre sul Pil cresce ancora nel 2015, arrivando al 6,8% a livello nazionale. Ma se al Centro-Nord il peso sul Pil si ferma al 6%, al Sud sale fino al 9,5%.
In definitiva, - conclude il rapporto - sotto l’etichetta della “spending review” si sono nascosti una serie di tagli che, soprattutto con riferimento alle spese in conto capitale, hanno esercitato un effetto depressivo sull’economia dell’area, amplificando i divari regionali e facendo perdere allo strumento il suo ruolo di riequilibrio territoriale.