Allarme lavoro nel Mezzogiorno. L’emergenza sanitaria seguita alla pandemia da Covid-19 ha avuto ripercussioni rilevanti sul mercato del lavoro, in particolare sulle componenti più vulnerabili, giovani, donne e stranieri, che già partivano da condizioni occupazionali più difficili. Il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% (era 63,5% nel 2019). Nonostante il calo abbia riguardato maggiormente il Nord del Paese, più colpito nella prima ondata pandemica del 2020, ”lo svantaggio del Mezzogiorno rimane elevatissimo”, con un tasso di occupazione del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. Lo rileva l’Istat che ha diffuso le ”Misure del Benessere equo e sostenibile dei territori”. Inoltre, al Sud circa un giovane su tre, tra i 15 e i 29 anni, non studia e non lavora. Dopo alcuni anni di diminuzione, la percentuale di giovani che non lavorano e non studiano (Neet) torna a salire, raggiungendo nel 2020 il 23,3% in media-Italia (+1,1 punti percentuali rispetto al 2019).
La fotografia dell’Istat è sostanzialmente confermata dall’Ocse. Il ritorno dell’Italia ai livelli pre-Covid è previsto a metà 2022. Il Pil italiano nel 2021 crescerà del 5,9%, mentre nel 2022 la crescita sarà del 4,1%. Le stime precedenti indicavano un più 4,5% del Pil sul 2021 e un più 4,4% sul 2022. Maggiori investimenti pubblici, inclusi quelli generati dai fondi Next Generation Eu, ”contribuiranno a raccogliere in forma estesa gli investimenti privati nel 2022 che prevede una ripresa dei consumi con il ritorno ai luoghi di lavoro e la minore incertezza che incoraggerà le famiglie a ridurre il risparmio precauzionale”. L’Ocse mette però in guardia dal revocare troppo prematuramente i sostegni a individui e imprese perché ”genererebbe più fallimenti, meno occupazione e maggiore povertà”. Il debito pubblico salirà quasi al 160% del Pil nel 2021, mentre l’invecchiamento demografico metterà sotto pressione le finanze pubbliche. Per questo la raccomandazione è quella di ”continuare a fornire sostegno fiscale, sempre più mirato, fino a quando la ripresa non sarà consolidata nei settori economico e occupazionale”. L’Ocse suggerisce all’Italia ”una riforma fiscale che mitighi la complessità del regime e riduca permanentemente le imposte sul lavoro”. Rispetto agli altri Paesi nella Penisola il gettito derivante dalle tasse sul lavoro è più elevato, mentre il gettito derivante dalle imposte di successione e dalla riscossione dell'Iva è più basso. Il cuneo fiscale sul lavoro è elevato, ma è stato ridotto attraverso sgravi fiscali sul reddito, riforme degli assegni alle famiglie e tagli temporanei ai contributi sociali.
Intanto la partecipazione alla forza lavoro è diminuita bruscamente nel 2020 e rimane particolarmente bassa per le donne, in primis per quante hanno figli. Il lavoro ad orario ridotto e il divieto di licenziamento hanno limitato gli esuberi. Tuttavia, i giovani, le donne e i lavoratori nelle regioni meridionali, tendenzialmente assunti con contratti interinali e a tempo determinato, sono stati meno protetti.
Secondo l’Ocse accrescere l'efficacia del settore pubblico ”sarà la chiave per assicurare il previsto impulso agli investimenti pubblici, migliorare il clima di impresa e garantire l'accesso a servizi pubblici di qualità in tutto il Paese”. L’Italia dovrebbe poi ”aumentare le risorse destinate ai tribunali affinché gestiscano meglio il lavoro arretrato e potenzino la celerità e l'efficienza delle procedure giudiziarie civili”.
In ogni caso, conclude l’Ocse, ”le probabilità di attuare con successo le riforme strutturali e i progetti di investimento pubblico sono ora maggiori che in passato”.
Giampiero Guadagni