Vent’anni di bassa crescita, nonostante i bassi tassi di interesse, con bassa occupazione e consumi stagnanti. È questo il quadro sconfortate dell’economia italiana che emerge da tutte le analisi dei maggiori centri di ricerca.
Dall’inizio del 2000 fino al 2018, secondo la Cgia di Mestre, la ricchezza nel nostro Paese (Pil) è cresciuta mediamente dello 0,2% ogni anno. Niente a che vedere con quanto successo nei due ventenni precedenti: se infatti tra gli Ottanta e Novanta la crescita è stata del 2%, tra il 1960 e la fine degli anni Settanta il Pil viaggiava a ritmi cinesi, con aumenti del 4,8% medio annuo. Certo, gli anni Sessanta e Settanta sono stati quelli del boom economico, non frutto di un ”miracolo” come sostenne qualche commentatore ma di precise politiche economiche elaborate sul finire della seconda guerra mondiale da un gruppo di economisti cattolici (Sergio Paronetto, Ezio Vanoni e Pasquale Saraceno) pubblicate nel Codice di Camaldoli e adottate negli anni ’60-70 dalla Democrazia Cristiana. Poi arrivò la prima crisi energetica, scoppiata nel 1973, ad innescare ulteriori effetti negativi che abbiamo pagato negli anni successivi. Tornando al periodo più recente la crescita registrata dai principali paesi dell’area euro è stata molto superiore alla nostra. Se l’Italia negli ultimi 18 anni ha visto un +4% del Pil (variazione calcolata su valori reali), in Francia l’aumento è stato del +25,2%, in Germania del +26,5%, in Spagna del +34,7%. L’area dell’euro (senza Italia), invece, ha riportato una variazione del +29,7%. Tra i 19 paesi che hanno adottato la moneta unica solo l’Italia (-4,1%) e la Grecia (-23,8%) devono ancora recuperare, in termini di Pil, la situazione pre-crisi (anno 2007). Se, però, sempre in questo arco temporale si analizza l’andamento dei nostri conti pubblici, si scopre che il rigore non è mai venuto meno. Perciò la Cgia parla di ”stagnazione secolare”, con previsioni che non lasciano presagire nulla di buono. L’economia mondiale rallenta mostrando evidenti segnali di incertezza e di sfiducia; anche nell’area euro che, comunque, in questi ultimi 18 anni è cresciuta del 30%, 7 volte in più dell’incremento registrato in Italia.
Bassi investimenti che generano una basa produttività e bassa occupazione che (insieme a bassi salari) genera bassi consumi, associati ad un deficit infrastrutturale, ad un alto tasso di evasione fiscale e ad una pressione eccessiva sul lavoro dipendente, sono le cause ormai note che frenano la crescita nel nostro Paese e che hanno spinto Cgil Cisl e Uil, critiche sulle scelte di politica economica del Governo gialloverde, a scendere in piazza il prossimo 9 febbraio per protestare contro la manovra, inadeguata secondo i sindacati rispetto alle esigenze del Paese.
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