Privatizzazione delle Poste in primo piano oggi, con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan che ha parlato dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui criteri di privatizzazione e le modalità di dismissione di una ulteriore quota della partecipazione detenuta dal Mef nel capitale di Poste italiane Spa in commissione Trasporti della Camera e poi, alle 15, in commissione Lavori Pubblici in Senato. Sulla stessa materia è stato ascoltato sempre dalla commissione Lavori Pubblici di Palazzo Madama anche l'ad di Poste, Francesco Caio.
L’Ente sta mettendo a punto un accordo per il conferimento di un ulteriore 35% delle azioni a Cassa Depositi e Prestiti. E l’operazione preoccupa non poco la Cisl e la sua federazione di categoria Slp; ne è prova la posizione contraria espressa in modo netto dalla segreteria confederale fin dalla presentazione da parte del Governo del Def e ne è prova l'avvio della mobilitazione unitaria sui territori.
Padoan ha provato a rassicurare: "Non c' è alcuna svendita", ha detto. Padoan ha quindi tenuto smentire un altro "timore", quello cioè che la cessione possa portare ad una riduzione del controllo: "Non e' assolutamente cosi'", ha detto, citando come esempi quelli di Eni, Enel e altre imprese". Caio, dal canto suo, ha detto che lo 'spezzatino' "non è nei piani dela management approvati dal consiglio e dall'assemblea".
Proviamo a ripercorrere un po’ di storia. Nell’ottobre 2015 Poste Italiane è stata quotata in borsa con la prima tranche del 35% di azioni, avvenimento celebrato con tanto di “cerimonia della campanella” a Wall Street dell’amministratore delegato Caio. Dal 2000 l’azienda più grossa d’Italia per numero di dipendenti, produce utili dal 2000 e lo Stato ne beneficia con la riscossione dei dividenti.
Nel corso dell'audizione, Padoan ha spiegato che la quota del 35% conferita a Cdp rappresenta la percentuale di capitale che consente allo Stato di continuare a detenere il controllo della società indirettamente per il tramite di Cdp. La partecipazione - ha precisato - non potrà essere ceduta senza un preventivo assenso da parte del ministero dell'Economia. Il ministro ha quindi assicurato che saranno garantiti il servizio universale e i livelli occupazionali esistenti.
Ma il sindacato non la pensa così. “Il collocamento sul mercato di un ulteriore 30% delle azioni, oltre al 35 già collocato lo scorso anno - due terzi del quale finito nelle mani degli investitori istituzionali, dato particolarmente significativo - rischia di depauperare uno dei più grandi asset del nostro Paese ed uno dei pochi servizi, ancora a connotazione sociale, presenti su tutto il territorio nazionale”. Questo l’avvertimento lanciato da Luca Burgalassi, neosegretario generale dell’Slp, venerdì scorso, in occasione del consiglio generale della federazione dei postali della Cisl.
“Si tratta della classica operazione del Governo per fare cassa ed alleggerire il debito pubblico (in verità una goccia nel mare), ma questa volta con conseguenze davvero imprevedibili, compresa quella di una futura perdita del controllo da parte dell'azionista pubblico”, aggiunge Burgalassi, sottolineando l’assenza di “un progetto industriale” e di qualunque “riferimento al reimpiego delle risorse provenienti dal mercato per iniziative di sviluppo dell’azienda”.
Per il sindacato, dunque, esiste “un grave rischio per l'unitarietà dell'azienda, per il suo radicamento sul territorio, per l'accessibilità dei suoi servizi, per la tenuta dei livelli occupazionali”. Altro che partecipazione e nuova governance, di cui nessuno parla più. “Fino ad oggi la risposta ai nostri appelli da parte della politica - spiega Burgalassi - è stata blanda e poco interessata, fatta eccezione per qualche gruppo di opposizione”. Da qui l’avvertimento del numero uno dell’Slp: “A settembre faremo il punto. Se nulla fosse risolto, se il Governo andasse avanti senza ascoltare il popolo postale, l’Slp è pronta a mobilitarsi”. Tradotto: l’autunno caldo potrebbe iniziare anche con uno sciopero generale dei postali.