Il welfare previdenziale, che spesso gode di lunghi tempi di gestazione, nella fase Recovery del Paese non sembrava trovare lo spazio per uscire allo scoperto. Ma la convocazione di Orlando spariglia il quadro. E Cgil, Cisl e Uil non perdono tempo nel ribadire la loro richiesta: un intervento complessivo sulla previdenza entro l'anno, partendo dalla piattaforma unitaria presentata al Governo; i capisaldi - di quella che viene immaginata dai sindacati come una mossa "organica" - riguardano: flessibilità in uscita dopo 62 anni di età, 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica, riconoscimento previdenziale dei lavori gravosi, rilancio della previdenza complementare, ripristino della piena rivalutazione delle pensioni e ampliamento della quattordicesima. La fine di quota 100 - che ha permesso il pensionamento anticipato di 253 mila persone - bussa alla porta a fine anno: la misura (almeno 62 anni di età e 38 di contributi per l'uscita anticipa dal lavoro) lascerà il posto al pensionamento di vecchiaia a 67 anni come strada principale, a parte la possibilità di uscire con 42 anni e 10 mesi di contributi.
I tempi stretti hanno accelerato probabilmente la convocazione del tavolo, che rimane comunque un modo per incontrare i sindacati e provare a calmierare, soprattutto su altri fronti, le acredini di questi giorni con gli annunci di mobilitazione. Il ragionamento di Orlando però è diverso non tanto sui contenuti quanto sul contenitore: meglio, sull'uscita e sull'ingresso da quel contenitore. Il ministro Pd ha provato, infatti, a smorzare gli entusiasmi pochi giorni fa, proprio mentre l'Inps presentava la sua relazione annuale: il dibattito sulle pensioni è ”eccessivamente concentrato sulla flessibilità in uscita e sulla possibilità di anticipo dell'uscita dal mercato del lavoro”, mentre bisognerebbe ”concentrarsi sulle prospettive che riguardano in particolare gli assegni delle nuove generazioni”. Insomma, quello che il governo tenta di fare è di restare ancorati a un approccio sul merito della questione, valutando più che altro piccoli aggiustamenti.
Tra le ipotesi scodellate per il dopo quota 100, introduzione di quota 102 (sempre 38 anni di contributi con 64 anni di età), proroga dell'Ape sociale, opzione donna, rafforzamento del contratto di espansione che introduce di fatto una sorta di staffetta generazionale. Chi invece chiede maggior forza alla riforma, pensa al rischio del cosiddetto scalone (ovvero la possibilità che tra due persone con un anno di differenza anagrafica ci possano essere cinque anni di scarto lavorativo per l'uscita).
Sul tema interviene l’ex ministro del Lavoro e consigliere Inail Cesare Damiano: ”Se la Commissione per la Programmazione Economica di palazzo Chigi, costituita da Bruno Tabacci, obbedisse alla logica secondo la quale si chiamano i tecnici quando ci sono da fare le scelte impopolari, saremmo sulla strada sbagliata. Nessuno capirebbe. Soprattutto se ci si riferisse ancora una volta al sistema pensionistico. Ma noi non crediamo che questa sia l'ispirazione di Draghi”. Aggiunge Damiano: ”Siamo convinti, al contrario che si tratti di fare scelte popolari se vogliamo che la transizione abbia anche un carattere sociale e che non aumentino diseguaglianze e fragilità. Per questo, se parliamo di previdenza, in vista del superamento di Quota 100 bisognerà trovare una misura di flessibilità alternativa più efficace e meno discriminante perché sarebbe assurdo tornare alla rigidità antistorica della legge Monti-Fornero. La forza del Pnrr è basata sulle scelte di investimento, non di rigore; di rilancio ed espansive. Sarebbe inimmaginabile muoversi in senso contrario sul Welfare”. Conclude Damiano: ”Le 8 salvaguardie degli esodati, con le quali dopo il 2012 abbiamo mandato in pensione 150mila lavoratori, sono la dimostrazione di quanto fossero sbagliate le scelte effettuate sulle pensioni al tempo del Governo Monti”.
Giampiero Guadagni