L’occupazione è in aumento, anche tra gli under 35, ma i giovani che stanno entrando in questi anni nel mondo del lavoro rischiano di andare in povertà quando andranno in pensione. Secondo un focus Censis-Confcooperative sono 5,7 milioni i lavoratori che potrebbero alimentare le fila dei poveri in Italia entro il 2050, se la tendenza del mercato del lavoro non sarà invertita. In gioco il futuro dei giovani: ”Una bomba sociale da disinnescare, rischiamo di perdere un'intera generazione”, sottolinea Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. Lo studio mette in luce la discriminazione esistente tra generazioni: già oggi, il confronto fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una divaricazione del 14,6%. Il sistema previdenziale obbligatorio attuale garantisce a un ex dipendente con carriera continuativa, 38 anni di contributi versati e uscita dal lavoro nel 2010 a 65 anni, una pensione pari all'84,3% dell'ultima retribuzione. A un giovane che ha iniziato a lavorare nel 2012 a 29 anni, per il quale si prefigura una carriera continuativa come dipendente, 38 anni di contribuzione e uscita dal lavoro nel 2050 a 67 anni, il rapporto fra pensione futura e ultima retribuzione si dovrebbe fermare al 69,7%, quasi quindici punti percentuali in meno. Questo nella migliore delle ipotesi: secondo la ricerca rischia di andare molto peggio a 5,7 milioni di persone, calcolando che sono oltre 3 milioni i Neet (18-35 anni) che hanno rinunciato a ogni tipo di prospettiva a causa della mancanza di lavoro, a cui si aggiungono 2,7 milioni di lavoratori, tra ”working poor” e occupati impegnati in ”lavori gabbia” confinati in attività non qualificate dalle quali, una volta entrati, e' difficile uscirne e che obbligano a una bassa intensità lavorativa pregiudicando le loro aspettative di reddito e di crescita professionale. E il reddito d'inclusione, aggiunge Gardini, ”con un primo stanziamento di 2,1 miliardi che arriverà a 2,7 nel 2020 fornirà delle prime risposte”.