Le tasse, come disse una volta l’allora ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, saranno pure bellissime, ma appesantiscono non poco la vita delle famiglie italiane. Specie quelle dei lavoratori dipendenti. Dati Istat alla mano, nel 2016 il prelievo fiscale dovuto alle imposte sulla produzione e a quelle correnti e in conto capitale ha inciso sul reddito disponibile delle famiglie per il 16,6%, nel 2015 era al 16,5%. Qui ha inciso soprattutto la voluntary disclosure e la trasformazione del canone Rai in imposta. Sul reddito disponibile della società non finanziarie l'incidenza è stata pari al 23,3% in calo di oltre quattro punti e sul quello finanziarie è stata pari al 20,4% in calo di oltre 6 punti.
Soprattutto, continua a gravare un nodo chiamato ‘cuneo fiscale’. L'Italia ha infatti il quinto livello più elevato di tutta l'Ocse di cuneo fiscale totale, ossia il peso di tutte le tasse che gravano sul costo del lavoro e che nel 2016 è risultato pari al 47,8 per cento. Il dato, che emerge dal rapporto sulla tassazione delle retribuzioni pubblicato oggi dall'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica, mostra una incidenza di tassazione complessiva sul lavoro di oltre 10 punti percentuali superiore alla media Ocse, pari al 36 per cento.
Ancora l’Ocse, ci dice che il costo del lavoro in Italia è di oltre 52 mila euro per ogni singolo lavoratore, sopra la media dell'area Ocse (oltre 47 mila euro), al diciassettesimo posto tra i paesi più avanzati. Dal medesimo rapporto trapela anche che in Italia il salario medio lordo è di poco meno di 40 mila euro, al di sotto di quello medio Ocse che supera i 40 mila euro. Inoltre i salari lordi italiani sono tassati del 31,1% contro il 25,5% della media Ocse.
Anche la crisi e la ricetta dell’austerity ci hanno messo del loro. Così - avverte l’Istat - dal 2007 al 2015 (anno di cui sono disponibili i dati più recenti), il Pil pro capite degli italiani è sceso del 10,8%, passando da 28.699 a 25.586 euro (-3.113 euro). Ma questo calo non si è distribuito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Altrettanto disomogeneo appare il calo degli occupati nel nostro Paese, che restano ancora inferiori ai dati registrati nel 2007, alla vigilia della lunga crisi economica ancora in atto.
“Mentre tutti gli altri nostri principali competitor europei sono da tempo ritornati ai livelli di crescita pre crisi, l'Italia continua a registrare valori di reddito pro capite e occupazione inferiori a quelli del 2007 - osserva l'imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro - Purtroppo non si è voluto approfittare di questa crisi decennale per cambiare drasticamente le regole del mercato del lavoro e per allegerire le nostre imprese dal peso esorbitante (e disincentivante) di una tassazione eccessiva nonché di leggine e regolamenti che imbrigliano la loro azione quotidiana. I vari bonus sono pannicelli caldi che non aiutano a rilanciare l'economia e che disperdono risorse. Occorre cambiare passo: rilanciare gli investimenti pubblici e mettere finalmente gli imprenditori nelle condizioni di creare nuovi posti di lavoro e quindi nuova ricchezza”.
Non mancano comunque timidi segnali di ripresa dell'occupazione. Un confronto tra i dati 2015 e 2016 evidenzia come nell'ultimo anno il nostro Paese abbia complessivamente recuperato 293.088 posti di lavoro. Nel frattempo, è anche aumentata la spesa delle famiglie per consumi (+1,3%) ma in misura inferiore rispetto alla crescita del reddito disponibile (+1,6%); la propensione al risparmio è salita all'8,6% (+0,2 punti percentuali).
Il potere di acquisto delle famiglie registra nel 2016 lo stesso tasso di crescita del reddito nominale (+1,6%). Il tasso di profitto delle società non finanziarie nel 2016 sale al 42% (+0,9 punti percentuali sul 2015) e il tasso di investimento cresce al 19,7% (+0,2 punti percentuali). Le società finanziarie registrano una consistente contrazione nominale del valore aggiunto ai prezzi base (-6,4%).
Nel 2016 il prelievo fiscale dovuto alle imposte sulla produzione e a quelle correnti e in conto capitale ha inciso sul reddito disponibile delle famiglie per il 16,6% (in crescita di 0,1 punti sul 2015), su quello delle società non finanziarie per il 23,3% (in calo di 4,2 punti) e su quello delle società finanziarie per il 20,4% (in calo di 6,3 punti).