Licenziando la Nadef l’Esecutivo ha parlato di circa 32 miliardi a disposizione contro il caro energia, per evitare che le attività imprenditoriali rischino la chiusura e le famiglie comprimano eccessivamente i consumi. Un primo passo è arrivato con il dl Aiuti quater, approvato giovedì scorso dal Cdm, che mette a disposizione 9,1 miliardi di euro - provenienti dal extragettito fiscale - destinandoli a misure che rivedono, prorogano o avviano provvedimenti a sostegno di famiglie e imprese contro il caro bollette.
Dopo i ritocchi al superbonus 110%, sono allo studio dei correttivi sul reddito di cittadinanza, garantendolo a chi non ha la possibilità di lavorare, per ricavare risorse fino ad 1 miliardo da reinvestire in manovra. Si ipotizza l’inserimento di maggiori paletti che portino al taglio del sussidio come quelli legati alla mancata accettazione delle proposte di lavoro.
Tutti temi sui quali nei giorni scorsi è stato avviato il confronto tra Governo, sindacati e associazioni datoriali.
Osserva il leader della Cisl Sbarra: ”La legge di stabilità dovrà essere capace di consolidare e completare l’intervento sull’emergenza coniugandolo con un progetto complessivo di riforme e investimenti che va definito insieme alle parti sociali, in un contesto di dialogo strutturato e responsabile”. Quanto al decreto Aiuti quater ”è un provvedimento-ponte che può essere ancora migliorato. Ora ci aspettiamo nella legge di bilancio un taglio drastico del cuneo fiscale e delle tasse sui lavoratori e pensionati”.
Proprio il taglio del costo del lavoro è un obiettivo del Governo, che la stessa premier Meloni ha da subito indicato nella misura di cinque punti. Un impegno a cui arrivare progressivamente nella legislatura; e così nella prossima manovra dovrebbe essere confermato il taglio di almeno due punti. Spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy Urso: ”Dobbiamo alzare i salari: il taglio sarà per due terzi per il lavoratore e un terzo per l'azienda”.
Il presidente di Confindustria Bonomi riconosce lo sforzo in campo innanzitutto per contenere il caro-bollette ma chiede di fare finalmente il passo decisivo sul taglio del cuneo fiscale, ”l’unico modo per rimettere soldi in tasca ai lavoratori, soprattutto quelli con i redditi bassi, sotto i 35 mila euro, che di più soffrono il peso dell'inflazione a doppia cifra: per loro arriverebbero almeno 1.200 euro in più l’anno”. Un intervento dal costo rilevante, 16 miliardi la proiezione nella proposta di viale dell'Astronomia, che si possono trovare rivedendo gli oltre mille miliardi di spesa pubblica annua: ”Riconfigurare il 4-5%" significa avere a disposizione 50-60 miliardi, risorse per fare anche questo intervento”.
Non convince, invece, la misura sui fringe benefit esentasse fino a 3 mila euro che le aziende potranno erogare: la platea è molto ridotta, circa il 17%, rileva Bonomi. E il numero uno della Cgil Landini chiede che questa somma vada a tutti i lavoratori e che si tuteli chi sta peggio. In arrivo anche interventi sulla flat tax: oltre alla soglia per autonomi e partite Iva che dovrebbe essere estesa dagli attuali 65mila a 85mila euro, è attesa la versione cosiddetta incrementale (sull'incremento di reddito nel 2022 rispetto al maggiore dei redditi dichiarati nei tre anni precedenti). Sempre nel capitolo fisco, si lavora anche sulla tregua fiscale.
Centrale anche il capitolo pensioni. C'è un doppio binario al quale sta lavorando il Tesoro: finestre per l’uscita anticipata, per esempio a 62 o 63 anni con un congruo numero minimo di anni di contributi, ma anche incentivi per chi decide di restare con un aumento in busta paga che potrebbe essere anche del 10%.
Il tema è caldissimo ed i tempi sono molto stretti: perché se il Governo non trovasse una soluzione entro dicembre, quando scadranno quota 102, Ape sociale e Opzione donna tornerebbe in vigore il regime previsto dalla legge Fornero da sempre visto come fumo negli occhi da molta parte della maggioranza, Lega in primis. E se per le prime due misure si prevede un proroga, bisognerà trovare una soluzione per tutto il resto.
Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giorgetti ha firmato il decreto per l’adeguamento delle pensioni per una percentuale pari al +7,3% a partire dal 1 gennaio 2023.
Un provvedimento che va nella direzione indicata dalla Cisl, che chiede però l'apertura di un tavolo di confronto per parlare di una riforma complessiva del sistema previdenziale.
”È importante che il Governo apra al più presto il confronto sulle pensioni”, afferma il segretario confederale della Cisl Ganga, che aggiunge: ”Abbiamo visto riemergere dalla stampa varie ipotesi che non risultano sempre coerenti con le richieste del sindacato, portate al tavolo del presidente del Consiglio Meloni e del ministro del Lavoro Calderone. I lavoratori e le lavoratrici hanno bisogno di chiarezza e di essere rassicurati che da gennaio non subiranno lo scalone di 5 anni per andare in pensione. Leggiamo di ipotesi che tratteggiano incentivi per rimanere al lavoro che non sono mai stati discussi con le organizzazioni sindacali, e questo rimanda all'esigenza urgente di una trattativa”. La richiesta della Cisl rimane quella di ”maggiore flessibilità per andare in pensione, ogni altra misura non può prescindere dalla possibilità di pensionamento a partire dai 62 anni di età e anche dalla facoltà di pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall'età”. La Cisl ribadisce poi tutti gli altri temi presenti in piattaforma: maggiore tutela previdenziale per le donne e per chi svolge gravosi e usuranti; sostegno alla previdenza complementare; apertura della discussione sulla pensione contributiva di garanzia; tutela del reddito dei pensionati”.
Giampiero Guadagni