Nel quarto trimestre del 2021, in termini tendenziali, gli occupati sono aumentati di 571 mila unità, +2,6% in un anno. L'aumento ha coinvolto i dipendenti a tempo indeterminato (+188 mila, +1,3%) e, soprattutto, quelli a termine (+384 mila, +14,3%), mentre il numero di indipendenti resta stabile, dopo nove trimestri di calo ininterrotto.
L'Istat lancia anche un allarme: la forte accelerazione della dinamica dei prezzi al consumo, a partire dalla seconda metà dell'anno ( pari al +1,9% nella media del 2021), ha determinato una riduzione del potere d'acquisto delle retribuzioni che “alla luce delle forti pressioni sul mercato dei beni energetici, rischia di acuirsi repentinamente nel corso dei prossimi mesi”. La crescita delle retribuzioni contrattuali di cassa, nella media del 2021, si è fermata allo 0,7% ed è in linea con quella dello scorso anno.
La crisi energetica legata alla guerra sta mettendo a rischio la crescita del Pil prevista per il prossimo anno. “I riflessi che vediamo in diversi settori sono quasi tangibili”, afferma il ministro dello Sviluppo economico, per il quale “anche in questo caso non si tratta solo di immaginare risposte nazionali ma anche a livello europeo. Con il Pnrr si è cominciato a immaginare lo strumento del debito comune europeo. Credo che sia il caso di valutare l'estensione di queste possibilità”.
Giovedì, in Consiglio dei ministri, Giorgetti ha sottolineato che “lo shock prezzi rischia di compromettere definitivamente la sopravvivenza delle imprese, provocando una crisi anche in termini occupazionali”. Il titolare del Mise ha proposto un fondo ad hoc per i settori più colpiti, ribadendo la possibilità di pensare al divieto di esportazioni di prodotti indispensabili e di dazi, da valutare con la Ue, per affrontare il nodo della carenza di materie prime, puntando anche a cercare fornitori alternativi e sullo stoccaggio di beni essenziali come si sta già facendo sul fronte del gas. L'allarme è suonato nei giorni scorsi dal settore della carta e da quello dell'auto. In difficoltà sono intere filiere, come quelle della ceramica - l'Ucraina è il principale esportatore di argille - o delle costruzioni che evidenziano il rischio dello stop dei cantieri. L'Istat ha certificato l'aumenti dei costi della produzione nell'industria: a gennaio, +9,7% in un mese, + 32,9% rispetto ad un anno prima. Il leader degli industriali Bonomi avverte: "Non possiamo più permetterci di produrre in perdita, inevitabilmente dovremo ricorrere alla cassa integrazione”. La stima di Confindustria è pesantissima: con l'impatto della guerra in Ucraina l'industria italiana potrebbe dover chiedere 400 milioni di ore di cassa integrazione. Preoccupa anche la situazione delle 447 imprese italiane che operano in Russia, per un fatturato di 7,4 miliardi. Per Bonomi “l'approccio nazionale di politica energetica deve cambiare”.
E il segretario generale della Cisl Sbarra chiede di “riformare il Patto di stabilità e mettere in campo una nuova strategia energetica comunitaria che metta in sinergia le risorse, la ricerca, le tecnologia dei singoli Stati, che per anni sono stati in concorrenza tra loro”. La Cisl sostiene la proposta di un “Recovery Energetico” per garantire gli stock necessari ad ogni Stato, porre un tetto e calmierare il prezzo del gas, mettere in sinergia reti, tecnologie e politiche commerciali, distribuire gli aiuti con spirito mutualistico attaverso un debito comune. Ma, osserva Sbarra, “bisogna intervenire sul piano nazionale abbattendo le accise su carburanti e gas e mettendo in campo una nuova strategia che incrementi la produzione domestica di gas, punti su combustibili verdi, diversificazione degli approvvigionamenti, economie circolari, efficienza. Per questo chiediamo di essere convocati nei prossimi giorni dal Governo per discutere gli interventi urgenti da mettere in campo perché molte imprese sono allo stremo e le conseguenze rischiano di pagarle i lavoratori”.
Giampiero Guadagni