Il prossimo 17 aprile si terrà il referendum abrogativo che mira ad annullare il rinnovo delle concessioni per la coltivazione e la estrazione dei giacimenti di idrocarburi (petrolio e gas naturale), realizzati all’interno delle 12 miglia di distanza dalle coste e dal perimetro di aree marine protette. Un tema sul quale, secondo la Femca e la Flaei (le federazioni dell’energia della Cisl) in questi anni si è sviluppato un dibattito strumentale, privo di contenuti e fuorviante rispetto alle necessità del Paese in materia energetica. ”Gran parte degli esponenti politici, anche quelli che in cuor loro non sono contrari all’uso dei giacimenti nazionali, stanno strumentalmente utilizzando l’argomento e senza nessuna responsabilità puntano al consenso cavalcando posizioni conservatrici”, avvertono le due sigle sindacali in una nota. ”Il referendum non deciderà se realizzare o meno nuove infrastrutture di estrazione (trivelle sì o trivelle no); infatti - spiegano - nei recenti provvedimenti del Governo sulla materia viene confermato il divieto a nuovi impianti dentro le 12 miglia, si tratta invece di decidere se far continuare le produzioni negli impianti autorizzati e già realizzati e operativi dentro il perimetro sopraindicato. In caso di affermazione dei sì al quesito referendario, si genererebbe un danno pesantissimo alla nostra economia nazionale e al sistema ambientale con effetti anche sul piano locale: si ridurrebbero drasticamente le royalties a favore delle Regioni e degli Enti Locali interessati (ritorni economici per le Pubbliche Amministrazioni), aumenterebbero le importazioni di petrolio e gas e i costi generali, sarebbe incrementato il traffico delle petroliere nei nostri mari provenienti da Paesi lontani e di conseguenza non diminuirebbero le emissioni”.
Femca e Flaei sottolineano come il nostro sia “un Paese fortemente a rischio sul piano energetico, con una dipendenza dall’estero (soprattutto da Paesi instabili dal punto di vista geopolitico), che supera l’80% e nel caso specifico degli idrocarburi fossili, che ancora rappresenteranno una fonte primaria almeno per i prossimi 70 anni, supera il 90%”.
L’obiettivo, dunque, ad avviso delle due federazioni di categoria, dovrebbe essere quello di “diminuire il livello di condizionamento dalle importazioni estere e favorire le produzioni nazionali affinchè venga abbattuta una dipendenza che condiziona fortemente i costi delle imprese, del sistema economico tutto e impedisce un rilancio strutturale della crescita e della realizzazione di investimenti”.
Anche dal punto di vista del rischio ambientale, le due sigle sottolineano come il settore dell’estrazione degli idrocarburi sia regolato da severe e rigorose normative nazionali e regionali che rendono compatibili e sostenibili le operazioni di coltivazione ed estrazione, esattamente come accade in Norvegia e nel Regno Unito. Senza contare che - conludono - “un esito favorevole del referendum comporterebbe il superamento di un altro pezzo dell’industria italiana, (attività mineraria ed energetica e beni e servizi ad essa connessi), con la cancellazione di decine di migliaia di posti di lavoro diretti e indiretti (questi ultimi soprattutto nel comparto metalmeccanico e edile), già fortemente condizionati dalla instabilità dei prezzi del barile di petrolio.
(Domani su Conquiste Tabloid il documento integrale a firma di Femca Cisl e Flaei Cisl)