A cinque giorni dal referendum sulle trivelle la Cisl torna a ribadire le proprie perplessità sul contenuto stesso del quesito sottoposto a consultazione popolare. E lo fa per voce della segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, per la quale non si può "continuare a dovere scegliere tra lavoratori occupati o futuri disoccupati e la salute". Per la leader di Via Po "ci vuole un piano vero che metta al centro la qualità della salute dei cittadini e dei lavoratori, ma che veda anche lo sviluppo sostenibile e la produttività del sistema paese come nodi centrale da affrontare. Il referendum non è lo strumento giusto su materie così complesse e delicate" .
Ieri erano stati i segretari generali dei sindacati di categoria, Filctem-Femca-Uiltec ad esprimere la propria contrarietà sul merito del quesito e forti preoccupazioni per le conseguenze dell’eventuale affermazione dei sì.
In un documento unitario a firma di Emilio Miceli (Filctem Cgil), Angelo Colombini (Femca Cisl) e Paolo Pirani (Uiltec Uil), ricordano come le tre organizzazioni negli anni si siano impegnate nel favorire attraverso accordi di programma e intese riorganizzative, la trasformazione di impianti tradizionali in produzioni bio compatibili o tecnologie innovative (riconversione in bio raffinerie dei siti di Marghera e Gela, in plastica green a Porto Torres) o lo sviluppo delle energie rinnovabili e pertanto la sostenibilità delle produzioni, la sicurezza dei lavoratori impegnati all’interno dei siti produttivi e il rapporto con il territorio.
“Il nostro Paese - scrivono tra l’altro i tre leader sindacali - è già fortemente impegnato nella lunga transizione, gli esperti parlano ancora di 70/80 anni, verso l’utilizzo totale delle rinnovabili, che al momento però non garantiscono la necessaria autonomia e sicurezza nella continuità degli approvvigionamenti per gli utilizzi civili, commerciali, sociali ed industriali. Il quesito referendario - aggiungono - non chiede di autorizzare o meno nuove trivellazioni, ma chiede il blocco delle concessioni di impianti off shore attualmente operativi nell’estrazione di olio e gas naturale tra le 5 e le 12 miglia marine dal limite della costa”.
Colombini, Miceli e Pirani evidenziano poi le preoccupazioni legate all’occupazione di circa 5mila addetti diretti degli impianti interessati dal quesito referendario e circa 15mila dell’indotto. Ma anche le possibili conseguenze per il tessuto produttivo del nostro Paese, secondo solo alla Germania per attività manifatturiere, di per sé bisognose di energia. “Altri Paesi come la Norvegia e la Gran Bretagna, - sottolineano - con legislazioni ambientali severe come la nostra, permettono in quantità molto superiori a quelle italiane, le coltivazioni ed estrazioni di idrocarburi”.
I tre segretari generali di Femca, Filctem e Uiltec concludono ribadendo la propria ferma contrarietà all’iniziativa referendaria, sollecitando un dibattito sulla transizione energetica “fuori da posizioni dogmatiche e precostituite” e “invitando il Governo, le istituzioni locali e le aziende del settore ad aprire con urgenza un confronto di merito sulla realizzazione della Strategia Energetica Nazionale”.
(Il documento integrale domani su Conquiste Tabloid)